Sagace, acuto, contemporaneo: il teatro di Alan Bennett è tutto questo. E molto di più. Il suo romanzo «Nudi e crudi», intanto, torna in teatro in forma smagliante grazie a due interpreti di enorme talento…
Rileggere Alan Bennett alla luce della – nostra, ma anche sua – contemporaneità può rappresentare non solo il beneficio per una nicchia invero ampia, ma un regalo di ampio respiro per la comunità tutta (leggi: quelli che ancora non lo conoscono).
Non è un’osservazione snob: quello che senza troppi guizzi fantasiosi gli viene spesso riconosciuto come tratto distintivo, ovvero il sense of humour tutto british, nasconde in realtà una vastità molteplice di suggestioni e scatti tensivi, in grado di ribaltare (o semplicemente riconsiderare) come le contraddizioni abbiano dilaniato il nostro mondo. Rendendolo un posto in cui non esiste, o meglio, in cui non è mai esistito l’equilibrio tra follia o realtà, bontà o cinismo, senza fermarsi mai nel consultare il bigino delle dicotomie semplici e meno semplici.
Ai tempi della Brexit, del livore clintoniano, della rampante ascesa di mr. Donald Trump, sarebbe bello chiedersi cosa ne pensano i caratteri invocati e poi resi “materici” dal signor Bennett, classe 1934: gli History Boys cosa avrebbero votato? Irwin e Posner e il resto della ciurma timida, in odore di riservatezza queer (mirabilmente portati in scena all’Elfo da Bruni e De Capitani, annus domini 2010)? La Lady in the Van? E il W.H. Auden del Vizio dell’arte? Le risposte vengono da sé, o forse no.
Lo spirito di Bennett, la sua forza, l’energia dei suoi testi, strategicamente celate dietro l’apparente spettro dell’ironia, ben li coglie la regia di Serena Sinigaglia per Nudi e crudi (già portato sulle scene italiane dalla coppia Faiella Pisu), tratto dal romanzo dell’autore risalente al 1996 (titolo originale: The Clothes They Stood Up In) e riscritto in forma teatrale da Edoardo Erba.
Su una scena volutamente spoglia – e vorremmo ben vedere, qui si parla di un furto clamoroso – si impone la vita “svaligiata” di due coniugi della Londra benestante. La rapina, assolta con garbo e anticipata da un annuncio dei due protagonisti (Maria Amelia Monti e Paolo Calabresi) a non spegnere i cellulari perché «non danno fastidio», lascia un vuoto iniziale nel carattere dei due.
Nudi e crudi è, a suo modo, un intelligente riflessione su come il capitalismo abbia stravolto le nostre esistenze: quando viene a mancare, quando si assentano i presupposti perché troneggi sulle nostre storie, la forza di gravità vacilla. Come nel caso del signor Ransome, avvocato di grido sospeso tra la Londra di oggi, quella degli anni Novanta e quella vittoriana.
Gli fa eco contrapposta la moglie, Rosemary (detta “Rosemary”), anima trattenuta che invece reagisce al para-dramma con un’energia in grado di conferirle nuovo potere, nuova voglia di ri-appropriarsi del mondo..
Si lancia in una serie di attività che di certo non erano inibite dagli “oggetti” tenuti in casa; ma la sparizione della moquette, dell’arredamento, degli abiti e dei cellulari le consentono di re-interpretare la realtà. Come se l’assenza stessa rappresentasse la vittoria dell’umano sul materiale, garantendo un’agnizione provvidenziale, dai toni miracolosi.
A contorno, il bravo Nicola Sorrenti interpreta una congerie di ruoli eterogenei con spigliato carisma, viaggiando senza paura tra i generi (anche e soprattutto sessuali) e tra le ansie e le paranoie dei due protagonisti. In puro stile bennettiano, la tragicommedia viene declinata dalla Sinigaglia in maniera intelligente e a tratti spassosa.
Nessuno ha intenzione di sacrificare lo spirito del maestro, né la presenza importante dei temi che rappresenta: dietro la battuta, qui come in History Boys, c’è sempre la desolazione di un mondo che ha il terrore di cambiare e allo stesso tempo di non somigliare più a sé stesso.
L’ossessione del nuovo, del radicale e del passato si infrange sugli scheletri del presente: è il re Giorgio folle, la signora strampalata che vive in un camper, il docente che palpeggia i suoi studenti.
Maria Amelia Monti e Paolo Calabresi sono strepitosi: i tempi comici sono invidiabili, la sintonia è perfetta, il legame con il carattere del testo emerge con vigore.
Su tutto troneggia, manco a tacerne, l’esperienza bennettiana: il suo teatro è wit? Chi lo sa. Definirlo “intelligente”, però, è sicuramente riduttivo. Non ci si lasci ingannare dai limiti delle latitudini geografiche: non è solo Londra. Siamo tutti noi. Spiritosi, dalla battuta pronta, acuti e icastici.
Dietro, però, c’è molto di più. E forse è arrivato il momento di riscoprirlo.
Per il video si ringrazia Artisti associati, foto di Francesca Martino
Nudi e crudi, di Alan Bennett, fino all’11 dicembre al Teatro Manzoni