Critico d’arte, curatrice indipendente, docente e giornalista per il Sole 24ore e Domus, solo per citarne alcuni, Gabi Scardi racconta a Cultweek i suoi progetti, tra cui il ciclo di laboratori Mi Abito in collaborazione con Fondazione Wurmkos, Cooperativa Lotta contro l’Emarginazione e Bassa Sartoria incentrato sul tema dell’abito inteso come interfaccia tra individuo e mondo, e la sua necessità di vivere l’arte nel suo divenire senza chiuderla in pregiudizi e definizioni
Gabi Scardi ha un’idea di scrittura la cui chiarezza è già di per sé un atto politico, un tentativo di contrastare la mancanza di approfondimento e la finta narrazione di oggi, che punta invece all’anatema e al proclama. Per lei l’abbruttimento del linguaggio fatto di perdita di senso e turpiloquio, lo stesso che denunciava Primo Levi in L’altrui mestiere, si combatte con lo studio preciso e con l’approfondimento, armi contro una categorizzazione becera che prova a chiudere il pensiero dentro schemi rigidi, etichettandolo e di conseguenza svilendone la complessità.
Tra i molti progetti che la vedono impegnata in questo periodo – assieme a una personale dell’artista messicano Carlo Amorales alla Fondazione Adolfo Pini che aprirà in concomitanza con MiArt, la Fiera Internazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Milano che si svolgerà dal 5 al 7 aprile prossimi – Gabi Scardi sta curando per lo Studio Legale Nctm un ciclo di incontri sul tema Arte e Diritto , con artisti selezionati in base all’intensità dei contenuti e alla complessità della loro ricerca.
Un progetto che ribadisce come per lei l’approccio alla fenomenologia del presente debba essere libero da pregiudizi e definizioni, per svilupparsi nel rapporto con la realtà nel suo divenire. Il Diritto è struttura portante della società e gli artisti possono confrontarsi con le sue dinamiche, meglio se con azioni appositamente pensate come quella di Marinella Senatore, artista italiana dal riconosciuto successo internazionale che il 6 aprile presenterà una performance sul tema della protesta attraverso la pratica della coreografia.
E poi il 6 marzo Adrian Paci, celebre artista albanese di cui Gabi Scardi ha curato una recente personale alla Basilica di Sant’Eustorgio a Milano, e successivamente il grande artista polacco Krzysztof Wodiczko, noto per le sue proiezioni video sulle facciate di edifici e docente all’MIT di Boston.
Tutti interventi potenzialmente definibili nell’ambito dell’Arte pubblica, ma Gabi Scardi su questo ha le idee molto chiare: l’arte è un modo di pensare la contemporaneità e molti artisti sono animati dall’interesse per quello che avviene e per tematiche cruciali e condivise, la cui opera diventa pubblica, senza nessuna forzatura tassonomica, perché il pubblico ne è parte attiva e coinvolta.
È il racconto del bisogno di vivibilità e della possibilità di un’alternativa per il futuro che rende pubblica nel senso più profondo ed etico l’opera e che fa dell’agire nel campo dell’arte una forma potente di impegno sociale. Non c’è niente di ovvio nel coinvolgimento del pubblico, bensì una costruzione condivisa di senso che cristallizza le sensazioni in modo straordinariamente etico, perché l’arte si alimenta sempre dell’altro e della realtà e la partecipazione è sempre reciproca, con l’artista che dà e prende in un moto circolare, con l’unico limite del rispetto e del senso della realtà.
E proprio su questa apertura fenomenologica, che include la costruzione etica e condivisa del senso, si basa Mi Abito , progetto partecipativo da lei curato in collaborazione con Fondazione Wurmkos e Cooperativa Lotta contro l’Emarginazione con il supporto di Clara Rota e Bassa Sartoria, incentrato sul tema dell’abito inteso come interfaccia tra individuo e mondo e come strumento per presentarsi e rappresentarsi.
Un progetto che si sviluppa nell’arco di un anno e comprende una serie di quattro laboratori condotti dagli artisti Francesco Bertelé, Francesca Marconi, Margherita Morgantin e Wurmkos. Un ciclo di interventi in cui l’artista lavora a fianco dei partecipanti, sempre con la sua autorialità e senza nessun arretramento del suo ruolo, ma non intesi come opere relazionali o performative. Sono laboratori inclusivi che hanno lo scopo di valorizzare l’abilità e l’autonomia creativa individuale e di contribuire alla capacità di proporre sé stessi e di confrontarsi con il mondo esterno dei partecipanti.
Con il supporto dell’artista e dell’artigiano i partecipanti saranno impegnati nella creazione di una collezione composta di capi a propria misura, occasione per sviluppare attività in comune e condividere riflessioni. L’abito è il modo più prossimo di abitare la realtà, di raccontare il vissuto, di presentare se stessi come si è e come si vorrebbe essere, e quindi lavorare sull’abito equivale a lavorare attivamente e creativamente su se stessi. È l’Habitus, che è radice di abito ma anche di abitare e di abitudine, e che rappresenta sociologicamente l’inconscio collettivo, la condivisione di uno spazio sociale che permette di avere una medesima percezione delle dinamiche sociali.
Esattamente il senso del progetto, ma anche lo scopo primario e ultimo dei soggetti coinvolti e, non ultimo, dell’approccio di Gabi Scardi, che ha fatto della sensibilità degli artisti e della loro relazione col presente e la realtà, indipendentemente dalle definizioni, il vero filo conduttore del suo lavoro.
Immagine di copertina: Carlos Amorales, Life in the folds, 2017