Gabriele Salvatores, ritratto in un interno

In Weekend

Ecco, per immagini e parole, l’incontro della redazione di Cultweek con il regista: le sue scelte, il lavoro con gli attori, il teatro, Milano e molto altro

Bella, intensa, interessante serata quella di lunedì 23 marzo a ChiamaMilano: la redazione cinema di Cultweek ha incontrato Gabriele Salvatores, complice e affettuosa padrona di casa Milly Moratti, davanti a un pubblico di 130 persone, attento e attivo. Il regista napoletano, ma ormai ampiamente milanese di adozione e vocazione lavorativa, ha parlato  tanto e di di tante cose e potete vederlo e ascoltarlo nei video di questa pagina. Ha parlato di cinema e  di teatro, il suo secondo (quasi primo) amore, forse ancora non del tutto consumato nonostante i lunghi  anni all’Elfo nascente; dell’impegno di regista e del lavoro sugli attori, di cinema di genere e originalità autoriale. E ancora: del rapporto con il pubblico e di come vorrebbe fosse Milano, la “sua” città, in senso politico, umano, etico, cuturale. Trovate tutto questo nelle riprese dell’incontro, alle quali abbiamo deciso di aggiungere quattro interventi di alcuni nostri cinecultweekers che hanno scelto, ciascuno, uno dei film del regista che, secondo loro, meglio lo rappresenta e che ovviamente ritengono tra i suoi più riusciti.  

Marrakech Express
Gabriele Salvatores è Marrakech Express (1989) perché il film nella sua semplicità di commedia spensierata sviluppa, attraverso il tema della fuga e del viaggio introspettivo, un rifiuto nei confronti di una quotidianità piatta e omologata. Viaggiare ci modifica, si sa, è un modo per conoscere un po’ più noi stessi mettendoci a confronto con gli altri, dandoci modo di vivere un’altra realtà e di migliorare la nostra attuale esistenza. La bellezza della natura viene attraversata da uno sguardo curioso, sia essa uno sconfinato deserto o un tiepido paesaggio mediterraneo punteggiato di spighe di grano, concedendo una sosta sul fascino dell’intima interazione tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda. “Si sa dove si sta andando ma non si sa in che cosa ci si imbatterà lungo il tragitto” potrebbero essere le parole alla base del percorso fatto di tenera nostalgia nei confronti dell’irreplicabile compattezza dei gruppi di amici formatisi in gioventù, che reincontrandosi vivono nuovamente l’incanto di un tempo mai trascorso e risvegliato da un’imprevista partita a pallone. (Christopher Ruddell)

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Nirvana
Per me Gabriele Salvatores è Nirvana (1997) perché, se si vuole davvero dimostrare che il cinema di genere oggi non ha più bandiera, da qualche parte si dovrà pur cominciare. Nirvana riunisce, tra cameo e ruoli principali (sopra tutti il mattatore Sergio Rubini, oltre all’ottimo Diego Abatantuono in un ruolo – quasi – del tutto serio), un cast italiano di ottimo livello, a riprova che, a parità di idee e voglia di rischiare, il cinema nostrano può fare la voce grossa anche al di fuori della commedia tradizionale. È un film coraggioso, un buon inizio e una sfida a un pubblico tra i più esigenti, quello della fantascienza, viziato da decenni di prodotto ad alto tasso di spettacolarità e budget al punto di storcere il naso a priori davanti al nome italiano in locandina. Tuttavia, se è vero che spesso e volentieri i primi a cadere nella trappola della stereotipizzazione del cinema di casa nostra sono proprio gli spettatori che ne affollano le sale per sostenere l’usato garantito del cinepanettone di routine, il discreto successo commerciale di Nirvana ai tempi della sua uscita è la dimostrazione pratica del fatto che sì, un altro cinema italiano è possibile. Basta cominciare a volerlo davvero. (Stefano Benedetti)

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Denti
Gabriele Salvatores risponde al meglio a ogni domanda, a quelle più professionali sulla materia cinematografica e anche a quelle più personali. È coerente e tutto ciò che dice lo si ritrova nei suoi splendidi film. Si percepiscono una sincerità e una limpidezza non comuni nel suo atteggiamento, che è modesto senza falsità. Tuttavia risulta veramente difficile coglierlo impreparato, forse perché ormai abituato da anni alle interviste e a ogni tipo di domanda, e probabilmente perchè riflette molto sul suo lavoro artistico. Anche interrogato a proposito della sua fase più cupa, e sicuramente di minor successo, ha saputo spiegarsi  durante la nostra intervista collettiva con franchezza e semplicità. Nonostante sia un regista di commedie, tra il 2000 e il 2008 possiamo identificare una deliziosa parentesi a cavallo tra noir e thriller, in cui troviamo Denti che è uscito nel 2000, Io non ho paura, Quo vadis, baby?, e Come Dio comanda. Ci ha risposto senza esitazioni, cristallino, che quella fase corrisponde proprio a un periodo infelice della sua vita, in cui era stato lasciato dalla compagna. Era affascinato da una certa atmosfera cupa, in linea col suo umore, ma anche da un tabù davvero quasi mai trattato al cinema: i denti. Ci ha fatto notare e spiegato come i denti siano una questione privatissima, intima, da cui deriva tra l’altro la proverbiale paura del dentista. Ha voluto indagare insomma un tema assolutamente originale, che lo toccava da vicino. Non per altro lo considera uno dei suoi film più riusciti, a cui è più legato. E anche in questo caso non possiamo che essere d’accordo con lui. (Federico Castelnovo)

Kamikazen
Kamikazen (1987) è il film di un Gabriele Salvatores regista teatrale e cinematografico che rese protagonista la Milano dei paninari e dei flipper. Se Sogno di una notte d’estate racchiude la sua dedizione al grande schermo, Kamikazen ricorda per temi e attori il legame con il teatro. Tutto ruota attorno a una compagnia di comici squattrinati, che fa di tutto per partecipare con il repertorio migliore a una serata ben pagata. Il protagonista Paolo Rossi e gli altri Antonio Catania, Claudio Bisio, Giovanni Storti, Silvio Orlando, Diego Abatantuono, Raul Cremona, Michele Mozzati, Renato Sarti, Mara Venier, diverranno poi i personaggi che conosciamo oggi. Si sente il respiro di una commedia giocata sulle battute, studiata nei rapporti fra i personaggi che fa di Milano un grande e antropologico palcoscenico di vita e immaginazione. Già proiettata verso quel linguaggio visivo personale che ritroveremo nei suoi film successivi, da Marrakech Express al Ragazzo Invisibile, Kamikazen è un omaggio al cabaret di quegli anni, al sudore e alle gioie degli attori fuori scena. (Daniele Giacari)

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Foto: Claudio Iannone

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