Secondo Italo Calvino è stato «il più grande scrittore della letteratura italiana di ogni secolo». Una mostra a Padova, la città dove Galileo ha studiato, celebra il grande scienziato che ha cambiato per sempre il nostro modo di guardare la realtà.
«Sventurata la terra che non ha eroi! No. Sventurata la terra che ha bisogno di eroi». In qualche modo è Brecht alla fine degli anni Trenta del Novecento, nella Vita di Galileo, a dare compiutezza intellettuale e a rendere piena, umana giustizia alla vicenda di Galileo Galilei.
La maturità intellettuale dello scienziato pisano ha inizio a Padova dove nel 1590 – all’età di 26 anni – ottiene la cattedra di matematica. Padova è, di fatto, l’università della Serenissima che, sebbene abbia da quasi un secolo cominciato il suo declino, rimane una delle massime potenze militari, politiche ed economiche d’Europa.
E a Padova si respira un’atmosfera particolare: si comincia a verificare sul campo il sapere tramandato dalle auctoritates, Aristotele in testa. Si comincia a “sperimentare”. Nel 1545 è stato realizzato l’orto botanico, il viridarium. Negli anni di Galileo, nel 1595, viene completato il teatro anatomico di cui dà già notizia il grande anatomista dell’Università di Padova Andrea Vesalio nel suo De humani corporis fabbrica, del 1543 (di entrambi i luoghi, splendidi, si consiglia la visita per entrare nell’atmosfera dell’epoca).
In questo straordinario contesto, negli anni – a suo stesso dire – più importanti della sua formazione, Galileo dà vita alla rivoluzione scientifica più importante degli ultimi 1500 anni.
Rivoluzione Galileo. L’arte incontra la scienza è il titolo di una mostra ospitata al palazzo del Monte di Pietà di Padova (fino al 18 marzo 2018) che rende giustizia alla miracolosa vicenda umana e scientifica di quello che oggi è considerato forse il più grande scienziato di tutti i tempi.
Il più grande perché cambia definitivamente l’approccio alla ricerca scientifica attenendosi a una regola che fino ad allora non è per niente scontata: «Il metodo che seguiremo sarà quello di far dipendere quel che si dice da quello che si è detto, senza mai supporre come vero quello che si deve spiegare. Questo metodo me l’hanno insegnato i miei matematici, mentre non è abbastanza osservato da certi filosofi quando insegnano elementi fisici… Per conseguenza quelli che imparano, non sanno mai le cose dalle loro cause, ma le credono solamente per fede, cioè perché le ha dette Aristotele. Se poi sarà vero quello che ha detto Aristotele, sono pochi quelli che indagano; basta loro di essere ritenuti per dotti perché hanno alle mani maggior numero di testi aristotelici… Che una tesi sia contraria all’opinione di molti, non m’importa affatto, purché corrisponda alla esperienza e alla ragione».
Dieci righe che cambiano radicalmente la percezione del mondo.
Già nel 2009 Palazzo Strozzi a Firenze aveva dedicato a Galileo una grande mostra. Una mostra che era una bellissima carrellata del progresso scientifico fino allo scienziato toscano e oltre. Questa di Padova è una mostra che si concentra invece sulla straordinaria vicenda umana di Galileo che, attraverso il suo limpido credo scientifico, osa immaginare un mondo diverso, vero. Si enfatizza quindi la vicenda di un umanista. Di un uomo il cui acuto osservare è frutto di una conoscenza della realtà a trecentosessanta gradi. Figlio di musicista e raffinato musicista lui stesso, conoscitore di medicina, artista (gli acquerelli delle fasi lunari sono bellissimi) e, secondo Italo Calvino «il più grande scrittore della letteratura italiana di ogni secolo».
La mostra percorre dunque, con passione, il passaggio dal credo aristotelico e tolemaico della realtà, ai primi tentativi di un “mondo nuovo”. Dal credo di Igino documentato da una sfera celeste del primo secolo dopo Cristo e dall’Atlante Farnese del secondo. Nel campo della scienza ci sono le sfere armillari dei primi tentativi di interpretazione del movimento dei corpi nel cielo, gli astrolabi, le affascinanti interpretazioni di Petrus Apianus, le riflessioni di Johannes de Sacrobosco (Holywood), i cannocchiali di Francesco Fontana (1650) e di Giuseppe Campani del 1682, a sei tiranti, che doveva essere molto simile a quello usato da Galileo a Padova, in mostra diretto verso la riproduzione della luna disegnata da Galileo che si fonde, in un affascinante allestimento, con quella fotografata nelle recenti missioni spaziali. E il globo celeste di Vincenzo Maria Corelli del 1693.
Ma per ricreare il mondo intellettuale in cui questa rivoluzione ha luogo si misura il passaggio dal cielo dell’allegoria a quello della realtà, dall’astrologia all’astronomia con opere di Tintoretto, Rubens, Jan Brueghel il giovane. E i dipinti straordinari di Guercino che riproducono Atlante ed Endimione. E i nuovi universi di Andreas Cellarius.
Un momento emozionante della mostra è il confronto tra la Fuga in Egitto di Adam Elsheimer del 1620, in cui la Luna è riprodotta secondo il nuovo credo scientifico di Galileo, e il Giosuè ordina al Sole di fermarsi del Borgognone, del 1650 che esprime la lettura biblica su cui Galileo sarà inchiodato dalla censura ecclesiastica.
L’aspetto descrittivo e scientifico della mostra si conclude idealmente con il confronto con Isaac Newton, che nasce lo stesso anno della morte di Galileo. Cui fanno seguito le riproduzioni sette-ottocentesche che determinano la nascita del mito dello scienziato. I dipinti dedicati alla presentazione del cannocchiale al Consiglio dei Dogi, il confronto con l’Inquisizione, la condanna, l’abiura.
Non manca una gustosa sezione dedicata alla “Luna di tutti” dove si mettono a confronto l’Orlando furioso di Ariosto e il Viaggio intorno alla Luna di Verne con le illustrazioni di Doré, con il Tintin di Hergé e spezzoni del film di Méliès Le Voyage dans la Lune.
Infine una sezione dedicata all’influenza di Galileo nell’arte del primo Novecento con La danza delle ore di Previati (1899), Il Sole di Pellizza da Volpedo (1904), Mercurio che passa davanti al sole osservato personalmente dall’astronomo dilettante Balla (1914): un momento dell’avanguardia europea in cui le nuove scoperte scientifiche si dipingono di un ottimistico e luminoso sentire. E – a testimoniare l’uso che nell’Italia risorgimentale si fece di Galileo, anche in chiave anticlericale – Il trionfo della Verità di Luigi Mussini del 1847.
Una mostra ricca, appassionante, istruttiva se si può ancora dire. Punteggiata dalla presenza riflessiva e talvolta inquietante di opere di arte contemporanea scelte dal cocuratore Stefan Weppelmann del Kunsthistorisches Museum di Vienna a sottolineare l’attualità di quella ricerca nata nei banchi della vicina università patavina e opera di un pisano di ventisei anni.