Giorgio Falco finalista al Campiello con un racconto familiare “difficile” che dalla Germania nazista conduce alla Milano della ricostruzione con tappa a Merano
Ho comprato il libro di Giorgio Falco, La gemella H, come scelta di ripiego. Ero entrata in libreria per cercare un altro Giorgio, Fontana, il giovane vincitore del Campiello il cui romanzo è però in ristampa (a dispetto di chi pensa che i premi letterari non servano a vendere).
Anche Falco è un giovane scrittore, anche lui è milanese ed era in cinquina al Campiello. Ma non ha vinto e, dopo aver letto il libro, mi sarei stupita del contrario. Differentemente da altri premi letterari i critici hanno un ruolo attivo solo nella prima fase, quella di selezione. E’ poi una giuria popolare a scegliere il vincitore: fra tutti gli aggettivi, “popolare”, è il meno adatto a descrivere la storia raccontata dalla gemella H, all’anagrafe Hilde Hinner, nata nel 1933, 180 secondi dopo della sorella Helga, a Bockburg, una cittadina che sorge a 490 chilometri sul livello del mare, 25 chilometri da Monaco, 500 chilometri dalla costa adriatica.
I numeri, la catalogazione di luoghi, cose e volti una delle caratteristiche di questo libro che con un movimento lento e insistente ci porta dalla Germania nazista all’Italia di oggi. «Noi mangiavamo le mele solo nello strudel, prima». Inizia, così, il racconto di Hilde. Ma cosa è quel “prima”? E cosa è successo in quel “prima” che ha prodotto un “dopo” fatto di benessere, di villeggiature, di merci, di speculazioni, di chirurgia estetica senza produrre alcuna domanda?
Sono questi gli interrogativi a cui Giorgio Falco vuole dare una risposta e per farlo narra sequenze di vita come se scattasse altrettante immagini: un racconto ossessionato dai particolari in cui spesso mi sono piacevolmente persa. La prima inquadratura è quella della famiglia di Hilde: il nonno Herbert, fabbro, che «vive tra un cancello di ferro e il proprio intimo» con la moglie Christa; il nonno Michael che nella prima guerra mondiale ha perso una gamba «mezza assenza dove finiscono gli sguardi» con nonna Rosie, lo zio Peter, mamma Maria e papà Hans che guarda con invidia alla Mercedes dei vicini, un’Autobahnkurier. «Dobbiamo comprarla. Hans faremo tutto. A rate. Per la macchina, la casa, i mobili, la radio».
Un gruppo eterogeneo «che passa la propria vita negando conflitti esistenti» e vive in un quartiere residenziale dove le case, tutte uguali, sono «abitazioni portatrici di un’essenza uniforme, sensazione che rassicura, e ci fa dire: anche se non siamo tra noi, sembriamo sempre noi».
Poi la madre si ammala e porta con sé le figlie in climi più miti, a Merano, dove Falco scatta una seconda memorabile inquadratura a Franz Josef Lenhart, cartellonista dell’epoca, ideatore della promozione turistica dell’Alto Adige: «Il mondo di Lenhart è fatto da sciatori senza sforzo, gilet bianchi, montagne senza montanari», uomini e donne immobili, prigionieri del benessere conquistato dal denaro, «il distacco è una proprietà aristocratica, ora sul mercato borghese, acquistabile quasi da tutti, grazie a un finanziamento bancario».
Nel dopoguerra la famiglia si trasferisce a Milano (terza inquadratura: la ricostruzione della Rinascente) e da lì a Milano Marittima, dove il padre Hans, grazie ai soldi fatti durante il nazismo come direttore di un modesto giornale di provincia trasformato in un foglio di propaganda, si nasconde nell’anonimato borghese e diventa imprenditore della nascente industria turistica. Le immagini, ormai a colori, si susseguono con il ritmo più movimentato del boom economico, la speculazione edilizia, il petrolchimico: «Adesso possiamo dire, perché esiste un prima, il prima che dobbiamo dimenticare. Tutto avviene dopo la fine».
Decisamente un romanzo poco popolare. Non c’è una location ideale, non ci sono i personaggi giusti, non c’è neanche un mistero. Una lettura difficile, che ci rende complici di quel mutismo di cui le dittature (non solo politiche) si nutrono. Ma è solo specchiandoci in pagine come queste che forse possiamo uscirne.
Giorgio Falco, La gemella H (Einaudi, pp. 350, 18,50 euro)