La Trilogia sul genere di Marcela Serli arriva a mettere in dubbio le certezze sull’identità sessuale. Con la regista e drammaturga parliamo di questo – e di molto altro: diversità, sesso, Umberto Galimberti e crisi del maschio eterosessuale…
«Il genere è un argomento che scatena risposte ignoranti: non si conosce abbastanza e non si comprende come nel resto del mondo il genere sia già diventato qualcos’altro». È attraverso questa premessa che Marcela Serli, attrice e drammaturga di significativo impegno civile – ed essere umano di delicata, lodevole gentilezza – presenta la sua Trilogia sul genere.
Tre spettacoli diversi (Variabili umane, Femminanza, Homini) scritti e diretti da Serli, di origine argentina, con il supporto della compagnia Atopos, attiva nella lotta alle discriminazioni e nota per avere accolto, nel suo organico, omosessuali, etero-sessuali, transgender e transessuali, tutti accomunati dalla medesima ricerca di un’identità individuale che entri in sintonia fisiologica, emotiva ed espressiva a quella degli altri.
Tre spettacoli che, in maniera angolare e diversificata, raccontano storie di identità, di discriminazione, di dubbi. Con stile irriverente, con un linguaggio impetuoso, comico, brillante. Un registro che non ha freni: a Serli interessa la libertà. La ricerca. Il genere come induzione alla propria autonomia, prim’ancora che come teoria. «In Italia siamo indietro con le leggi e con lo studio del genere. Non che manchino studiosi o filosofi che abbiano approfondito questa materia, ma l’Italia media non sa nemmeno cos’è, ha paura del gender, non sa cosa significa, e se pensiamo che la teoria del gender nemmeno esiste…»
Ad aiutare Marcela nel suo percorso lungo le tre opere – di cui ha curato anche la drammaturgia insieme a validi collaboratori come Davide Tolu, Alberto Amoretti e Irene Serini – ci pensa la compagnia, Atopos. Che cosa guida la sua ricerca continua sull’identità? «Atopos è formata da tantissime persone transessuali, transgender, queer, lesbiche, gay ed etero La necessità nasce proprio da una serie di innamoramenti verso ognuno di loro. Ho conosciuto persone transessuali, e pur non avendo dubbi sulla mia identità mi sono posta “la domanda”, una domanda che ha a che fare con il qui e ora, qualcosa che le persone transessuali si chiedono in maniera spontanea, giornaliera. Sono domande che non mi faccio, per difendere chi sono. Perché sono troppo preoccupata nel far passare la vita… mentre la vita mi sta passando».
(video di proprietà di Compagnia Atopos)
Marcela, ma cos’è oggi la diversità? «Qualcosa di rinchiuso in questa forma di società patriarcale che viviamo, che ci impedisce di darle valore. Quando esiste il branco la diversità è messa a rischio; ci fa paura, perché ci mette a confronto con lo sconosciuto che c’è nell’altro. Figuriamoci quando lo sconosciuto che c’è in noi: non vogliamo guardare questo lato oscuro, o roseo che sia, perché vogliamo accontentarci e vivere comodamente la nostra esistenza».
Giovedì 8 giugno Umberto Galimberti sarà protagonista di Dialogo sui Generi(s), una conversazione con Marcela organizzata in occasione della Trilogia: «Ho molto amato I miti del nostro tempo e di recente l’ho visto in tv, parlava di diritto all’amore. La cosa che mi aveva colpito è il modo pacifico, garbato con il quale – pur non appartenendo alla comunità LGBTQ – parlava di qualcosa di naturale come l’amore. E ho sorriso, pensando a tutti quelli che rivendicano questo aggettivo, “naturale”…»
Il terzo spettacolo, Homini – ovvero man pride, parla della crisi dell’uomo eterosessuale. Che sia lui la prima, non dichiarata vittima del maschilismo? «Homini parla del maschio eterosessuale e del suo futuro, anche dal punto di vista scientifico. L’uomo è la prima vittima del maschilismo: da secoli fino a ora l’uomo è sempre stato educato a non dover piangere, a vestirsi in un certo modo, a non utilizzare determinati giochi».
Una repressione dei sentimenti che non lambisce l’altra metà del cielo, perlomeno in tenera età: «Le bambine, considerate “inferiori”, paradossalmente possono fare tutto quello che vogliono: piangere, arrabbiarsi, esprimere parti fondamentali dei propri sentimenti. Quello che dovremmo fare tutti, uomo eterosessuale incluso: peccato però che sia costretto a dover portare avanti la società, senza vivere appieno i propri sentimenti…»
Marcela, domanda da un milione di dollari – o forse la più banale di tutti: chi vorresti che vedesse la trilogia? «Persone giovani, ma soprattutto spettatori che vogliono avere dubbi sulla propria identità e su quella degli altri. Vorrei che la vedessero i bigotti, chiusi dentro gli schemi, bravi con le etichette. Vorrei che davanti alla trilogia potessero rispondere alla domanda che sempre ci facciamo noi Atopos: “a chi serve la mia identità”?»
Foto in copertina di www.spaesati.org
Trilogia sul genere, di Marcela Serli, dal 6 al 9 giugno al Teatro Franco Parenti