Dopo 17 film di cui ha creato soggetti e immagini, il regista romano porta sullo schermo “Tre piani”, un bel romanzo di Eshkol Nevo. Spostando da Tel Aviv a Roma eventi e personaggi, tutti al centro di forti conflitti familiari. Ma gli interpreti, in forma soprattutto Margherita Buy e Alba Rohrwacher, non suppliscono del tutto a una certa distanza tra l’autore/attore e la sua stessa materia narrativa
Per la prima volta dopo 17 titoli fatti in casa, pasta fresca della sua
personalità, delle sue nevrosi, delle sue speranze, Nanni Moretti a 68 anni si avventura nel mondo drammaturgico esterno e riduce, con ampi mutamenti di prospettiva, il bellissimo romanzo di Eshkol Nevo Tre piani, edito in Italia da Neri Pozza. Nanni ha cambiato non solo indirizzo ma anche paese, ma non fidandosi ha traslocato la storia dei tre piani della casa di Tel Aviv, dove esiste anche nei condomini il senso del mini kibbutz, e l’ha portata a Roma, impadronendosi della zona geografica a lui nota e cara per le gite in Vespa. Mentre i tre racconti del libro sono quasi monologanti – si
cita espressamente Freud, al primo piano l’Es, al secondo l’Io, al terzo il Super Io – nel film i destini dei personaggi si intrecciano molto di più.
Resta invece simile il distacco con cui lo scrittore e il regista osservano sgomenti il degrado della specie. Per Nanni la democrazia è la somma di tanti uno più uno e parte dalla coscienza individuale, per cui fa i conti con le tre storie che vedono quasi sempre un profondo distacco tra figli e genitori, quasi fossero due tribù opposte perennemente in guerra. Da una parte un padre sospettoso che la figlioletta abbia subìto molestie da un vecchio inquilino che soffre di demenza senile, e da qui organizza una vendetta coi fiocchi; dall’altra una donna sola che si trova puerpera e madre di due neonati mentre il marito è lontano e le si agitano intorno i fantasmi di una follia che aveva già colpito la madre; infine, all’ultimo piano, c’è una coppia distinta e inflessibile col padre giudice che rompe i ponti col figlio il quale una sera, in stato di ubriachezza ha travolto e ucciso in auto una povera donna. E anche da qui nasceranno conseguenze, lutti, ma anche nascite, le sliding doors (non so se la parola piacerebbe al regista) si incaricano di dare nuove svolte e anche nuovi sensi alle vite singole.
Ma Nanni guarda con rassegnazione e non con passione le vite degli altri, del resto anche Nevo aveva uno sguardo indagatore e un poco lontano: si tratta quindi non solo di una famiglia, non solo di un stabile, ma di un pezzo di mondo che, come tutto il resto, va in malora, e di questo il regista del Caimano, di Bianca e del suo capolavoro Habemus papam ci aveva da tempo avvertiti. Il problema è che Moretti è sempre Moretti e quando appare come giudice ci aspettiamo un clic di parodia, di ironia, una battuta
politica, che giustamente non arriva, e quindi l’attore risulta un poco fuori sincrono: il regista doveva forse protestarsi. Ma in realtà tutta la materia drammatica è qui fuori dagli interessi e dallo stile di Moretti, che fa irruzione nelle vite anonime con gran fracasso ma senza riuscire a strappare lieti fini se non artificiosi e comunque preceduti da lutti e disastri. Il ballo finale in strada è finto come gli applausi dai balconi della prima parte della pandemia.
Il cast obbedisce agli ordini e la Buy aggiunge un tassello alla sua storia di
attrice morettiana, sensibilissima, così come Alba Rohrwacher, mentre su una nota sotto sono i signori Scamarcio e Giannini, superati da Paolo Graziosi, che dà il via alla storia con la sua demenza che gli impedisce, metaforicamente e non, di capire che cosa sta succedendo. Riassumendo, Tre piani è un buon ibrido e sta nella carriera di Nanni Moretti come Casino Royale e Mai dire mai nella carriera di Bond. Vedi mai che essendo più gradevole e comprensibile, conquisti un nuovo pubblico. Ma i
“morettiani d.o.c.”?
Tre piani di e con Nanni Moretti e Margherita Buy, Riccardo Scamarcio, Alessandro Sperduti, Elena Lietti, Adriano Giannini, Paolo Graziosi, Anna Bonaiuto, Alba Rohrwacher, Tommaso Ragno, Stefano Dionisi