“Iddu”, nuovo film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, è ispirato, con parecchia libertà rispetto ai fatti veri, alla figura del famoso latitante di mafia. L’intento dei due registi non era però raccontare, come in un biopic, i dettagli con precisione giornalistica, quanto ricostruire un mondo dall’interno, nelle sue motivazioni e nelle ombre. Ma l’operazione riesce solo a metà. Il racconto resta spaccato: da una parte il grottesco della commedia umana incarnato da Servillo, dall’altra la drammaticità della tragedia affidata alla recitazione intensa, misurata di Germano. Ottimi peraltro entrambi
È Matteo Messina Denaro il protagonista di Iddu, il nuovo film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, anche se “la realtà è solo un punto di partenza, non una destinazione”, come ci avvertono i due autori fin dai titoli di testa. I fatti di cui si parla sono realmente accaduti, ma sono stati rielaborati usando la fantasia. Non siamo quindi davanti a un banale biopic ma a un’operazione che si vuole più raffinata e suggestiva, a partire dal prologo del film: da qualche parte in Sicilia, un padre e tre figli in una cerimonia di iniziazione primitiva e feroce, che consiste nello sgozzare una pecora. Il compito spetterebbe al figlio più grande, che però si tira indietro tremante. Si fa allora avanti la figlia, ma è femmina e quindi non può prendere in mano il coltello, con tutto ciò che quel gesto comporta. Tocca quindi al figlio più piccolo, appena un bambino, che esegue l’ordine senza battere ciglio, come se già sapesse che al destino non si sfugge. Mai.
Il ragazzino è Matteo Messina Denaro, il potente boss di Cosa Nostra protagonista di una latitanza durata trent’anni, durante i quali con i famosi pizzini ha continuato indisturbato a gestire gli affari, diventando simbolo di tutti i misteri e le incongruenze dei rapporti tra lo Stato e la mafia. Iddu in realtà è ispirato molto liberamente alla sua figura: l’obiettivo di Grassadonia e Piazza (sceneggiatori, oltre che registi) non è tanto raccontare i dettagli con precisione giornalistica, quanto ricostruire un mondo dall’interno, nelle sue motivazioni e nelle sue ombre. Nelle sue relazioni, soprattutto. E infatti Matteo Messina Denaro viene raccontato attraverso la rete di relazioni che lo circonda, con in primo piano la figura in qualche modo speculare di Catello Palumbo detto “il preside”, ex sindaco, assessore comunale e dirigente scolastico, appena uscito di prigione dopo una condanna per concorso in associazione mafiosa e prontamente assoldato dai servizi segreti.
Il tentativo è quello di stanare il ricercato numero uno della mafia ponendo fine alla sua latitanza, ma il gioco del gatto con il topo è complicato e dagli esiti indecifrabili. Toni Servillo nei panni di Palumbo gigioneggia senza pari ma riesce a cesellare un personaggio davvero memorabile: un uomo piccolo piccolo che sogna un impossibile riscatto e affoga a poco a poco nella ragnatela di menzogne che lui stesso ha creato. Altrettanto memorabile la prova di Elio Germano (Messina Denaro) che gioca però al contrario di sottrazione, dipingendo un personaggio stanco e maniacale, chiuso com’è in una torre d’avorio fatta di diffidenza, smania di controllo.
Ma il risultato finale non è davvero soddisfacente. In gran parte perché il film ci appare un po’ come diviso in due: da una parte il ridicolo, il grottesco della commedia umana incarnato da Servillo, dall’altra la drammaticità della tragedia affidata alla recitazione intensa e misurata di Germano. Due parti che non riescono a stare davvero insieme in una sceneggiatura che vorrebbe descrivere non tanto e non solo un uomo di potere ma il sistema che permette e sostiene quel potere, e finisce però col perdersi per strada.
Sono troppi i passaggi dal tono esageratamente letterario, che costringono gli interpreti a declamare le loro battute, con un effetto straniante e nel complesso poco convincente. Questo vale soprattutto per gli agenti dei servizi segreti interpretati da Daniela Marra e Fausto Russo Alesi, per il personaggio di Barbora Bobulova e per la sorella di Messina Denaro con la mimica esagitata di Antonia Truppo. Betti Pedrazzi nei panni di Elvira, la moglie di Palumbo, si ritaglia una caratterizzazione eccessiva e magnifica. Ma non basta a risollevare le sorti di un film zoppicante, che non riesce a essere all’altezza delle sue ambizioni.
Iddu – L’ultimo padrino, di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia, con Toni Servillo, Elio Germano, Daniela Marra, Barbora Bobulova, Giuseppe Tantillo, Betti Pedrazzi, Fausto Russo Alesi, Antonia Truppo