Jeremy Dyason e Andy Nyman, anche co-protagonista del film, firmano un divertente e immaginifico horror nato nel 2010 in palcoscenico, e per sette anni in giro per il mondo con grande successo. Uno scettico professore viene sfidato da un collega creduto morto a risolvere tre casi di “inconfutabili” presenze sovrannaturali: e anche l’illustre protagonista finirà per ricredersi. Martin Freeman nel cast
“La mente vede ciò che vuol vedere”, ripete ossessivamente in Ghost Stories il professor Philip Goodman (Andy Nyman, protagonista e co-regista del film), mentre si diletta a smontare una serie di fenomeni paranormali, sotto gli occhi affascinati e scettici dei suoi affezionati telespettatori. Ma un giorno qualcuno bussa alla sua porta per recapitargli un’inquietante busta imbottita: dentro c’è un’audiocassetta, ma soprattutto una sfida alla quale non può sottrarsi. La viva voce di un suo illustre collega e mentore, scomparso da tempo nel nulla e dato per morto, lo invita infatti a cimentarsi con tre casi apparentemente inconfutabili.
Goodman non se lo fa ripetere due volte e si butta lancia in resta in una perigliosa indagine, con tutta l’arroganza di chi è convinto di trovare – in fondo al corridoio o dietro una porta chiusa, nei recessi di una cantina o nel folto di un bosco – solo ed esclusivamente quello che si aspetta, vale a dire l’ennesima conferma del fatto che i fantasmi non esistono. Inutile dire che il professor Goodman troverà ad attenderlo fenomeni in grado di mettere in discussione tutti i suoi pregiudizi e buona parte delle sue certezze, comprese quelle relative ai suoi ricordi d’infanzia e all’immagine di sé, fino a scoprirsi molto meno buono di quello che ha sempre creduto (anche a dispetto del cognome che si porta appresso).
Di più non si può dire della trama di questo film senza guastare sorprese e colpi di scena che meritano di essere affrontati lasciandosi guidare – senza pregiudizi! – dalla mano sapiente degli autori (lo stesso Andy Nyman insieme all’amico Jeremy Dyson), che hanno saputo costruire un meccanismo maledettamente ingegnoso. Disseminando tracce e cancellando orme, infilando diverse scatole cinesi una dentro l’altra, senza una sbavatura e con impeccabile senso del ritmo, i due riescono in effetti a spaventarci e farci ridere, sorprenderci e inquietarci, senza soluzione di continuità e mai trattandoci da stupidi. Cosa questa tutt’altro che scontata, in un’epoca dominata dall’impero del sequel e dalla mania del remake.
Come in altri buoni horror arrivati di recente sugli schermi – pensiamo a Get Out, Oscar 2017 alla miglior sceneggiatura originale o A Quiet Place – qui si respira invece un bel vento fresco di originalità e si vede all’opera una bella capacità di prendersi dei rischi. Insomma, siamo di fronte a un tentativo decisamente riuscito di uscire dalla stanca ripetizione dell’uguale e di costruire un buon prodotto di genere a partire da una scrittura precisa e da un’idea forte, invece che limitarsi ad assemblare in ordine sparso momenti più o meno splatter e citazioni ormai trite e ritrite.
Non che in Ghost Stories non ci siano riferimenti e omaggi (al Sam Raimi della Casa, di certo, ma anche a Dario Argento, a Val Lewton, e ai film a episodi degli anni Sessanta e Settanta), ma il fulcro del film è un altro: la narrazione. Come ha detto Andy Nyman, l’idea iniziale era semplicemente: “Tre uomini seduti su uno sgabello che raccontano storie agghiaccianti”. Niente altro. Su questa idea, tanto semplice da sembrare banale, Nyman e Dyson hanno però costruito uno spettacolo teatrale andato in scena dal 2010 al 2016, riuscendo a terrorizzare tantissimi spettatori, da Liverpool a Sidney, passando per Londra e Toronto. Il passaggio dalla pièce al grande schermo sembrava tutt’altro che scontato o facile, e invece il risultato si è rivelato eccellente, anche grazie alla partecipazione di Martin Freeman, protagonista del terzo episodio e perfetta maschera del razionale uomo qualunque alle prese con la totale irrazionalità del sovrannaturale.
Se scrittura e struttura rappresentano i maggiori punti di forza del film, c’è comunque da sottolineare che anche da un punto di vista visivo Ghost Stories non delude affatto, con le sue brughiere strigliate dal vento e le foreste cupissime, le case abitate dal buio e i manicomi costruiti come labirinti infestati dal male. Il tutto immerso in un’atmosfera claustrofobica, dominata da colori lividi e luci fioche, inevitabilmente destinate a smarrirsi nell’oscurità.
Ghost Stories, di Andy Nyman e Jeremy Dyson, con Andy Nyman, Martin Freeman, Paul Whitehouse, Alex Lawther