Alla Triennale vanno in scena quarant’anni di cinema di Gianfranco Baruchello (ha fatto anche quello, e bene): garantiscono John Cage e Marcel Duchamp…
Nel 1964 il film Verifica Incerta viene presentato in anteprima a Parigi. Gianfranco Baruchello (Livorno, 1924) lo ha realizzato (insieme ad Alberto Grifi) rimontando spezzoni di pellicole di cinema commerciale americano destinate al macero. A introdurre la serata c’è niente meno che Marcel Duchamp. L’anno successivo, la pellicola sperimentale approda al Guggenheim di New York; questa volta, il ruolo di anfitrione spetta a John Cage. Bastano questi due autorevoli numi tutelari a raccontare l’importanza e la profondità dell’opera di Baruchello; la Triennale, insieme al MADRE di Napoli gli dedica una bella mostra monografica, affidata alla curatela di Alessandro Rabottini: Gianfranco Baruchello: Cold Cinema. Films, Videos and Works 1960-1999.
Duchamp e Cage non sono nomi casuali. Nel magistero dei due grandi anarchici guastatori dell’arte novecentesca ci sono tutte le chiavi per penetrare il linguaggio dell’artista livornese. Da una parte, il padre del DADA: e allora le pratiche di montaggio e riutilizzo, l’arte costruita a partire da oggetti comuni decontestualizzati. Dall’altra John Cage, l’inventore della musica aleatoria, il primo a valorizzare fino in fondo il silenzio in musica; e viene da pensare alla centralità della tela bianca in tante opere grafiche del livornese.
Baruchello è un artista multimediale, inesausto sperimentatore di differenti mezzi espressivi, di ogni possibile ibridazione tra le tecniche artistiche. La mostra sceglie di focalizzarsi sulla produzione cinematografica, presentando una selezione di sedici film che coprono l’intero arco dell’attività dell’artista: è la più ampia retrospettiva mai realizzata, dalle prime pellicole, tagliuzzate e rimontate con lo scotch negli anni Sessanta, fino alle sperimentazioni digitali di oggi.
Non solo videoarte, però. In ogni sala, i film di Baruchello sono affiancati da dipinti o sculture, installazioni, opere grafiche, pagine di romanzi sperimentali. Era inevitabile per rendere conto della trasversalità dell’artista, ma il rischio dell’“effetto bazar” era alto. Il merito della mostra è aver saputo, invece, allestire selezioni sempre coerenti. In ogni ambiente, fili sottili legano le diverse espressioni artistiche intorno ad alcune tematiche centrali: le strutture del linguaggio, la violenza della civiltà del mercato, lo scorrere del tempo…
Ogni sala restituisce l’immagine di una vena creativa formidabile (quanti spunti per un romanzo di Calvino o di David Foster Wallace…); ma, soprattutto, di una ricerca sempre coerente e consapevole.
P.S. In periodo di saldi, la Triennale allestisce due meritevoli mostre monografiche (su Baruchello e sull’inglese John Latham) e le propone con la formula “2 per 1”: un unico curatore, un unico percorso, un unico biglietto. Sono due mostre di qualità; ma si fatica a capire che cosa abbiano a che fare, l’una con l’altra.
Foto: Gianfranco Baruchello, Verifica incerta (Disperse Exclamatory Phase) [still da video], 1964-65. Roma, Fondazione Baruchello.