È una felice costante dei programmi di Divertimento Ensemble quella di presentare e dare spazio a giovani compositori. Non fanno eccezione i due concerti, quello del 28 marzo al Teatro Litta e quello che si terrà stasera al Conservatorio, che nel comune ricordo di Franco Donatoni schierano un manipolo di recenti leve di musica Contemporanea
“Di natura arte par, che per diletto / l’imitatrice sua scherzando imiti.”
Con questi versi Tasso descriveva l’incanto suscitato dal magico giardino di Armida agli occhi di chi v’entrava per la prima volta: come se la natura, una volta tanto, imitasse per diletto l’arte.
Se la storia della pittura fino ad allora ci mostra come l’evoluzione dello stile e della tecnica sia coincisa con una crescente verosimiglianza alla natura, nella musica l’ultimo imponente tentativo in questa direzione è avvenuto soltanto molto più tardi, in anni recenti con l’esperienza francese dello Spettralismo. Al giorno d’oggi lo studio della “natura dei suoni”, del loro DNA, è un tema di ricerca considerato generalmente sorpassato ma che ha ancora indubbiamente un’influenza forte su molti compositori: il repertorio proposto nel concerto di Divertimento Ensemble del 28 marzo al Teatro Litta (qui sotto) ne è una prova.
Nel 1972 veniva pubblicata a Parigi un’ambiziosa raccolta di saggi intitolata Linguaggio, musica, poesia. L’autore di questi scritti, allievo dello strutturalista Lévi-Strauss, è il belga Nicolas Ruwet, il cui nome e i cui scritti sono stati messi da parte forse con troppa leggerezza. Nelle prime pagine del libro egli, discutendo delle contraddizioni del linguaggio seriale, ha messo in evidenza un’idea che oggi ci appare scontata ma sulla quale forse varrebbe ancora la pena di soffermarsi: cioè che la musica sia un linguaggio, un sistema di comunicazione per mezzo del quale gli uomini scambiano significati e valori.
Già nel concerto inaugurale della presente stagione l’Ensemble diretta da Sandro Gorli aveva eseguito la Ballata n. 3 di Francesco Filidei, un brano che mette in evidenza la grande varietà di linguaggi musicali del giorno d’oggi. In un piacevole saggio sul ruolo della critica musicale, Paul Griffith ricorda l’importanza di saper mantenere un orecchio curioso e vergine, capace di sapersi sorprendere ogni volta e accostarsi senza pregiudizi all’arte: egli, insieme a Ruwet, potrebbe considerarsi la guida migliore per assistere a un concerto di musica contemporanea, dandoci le chiavi di lettura, le mappe con cui dovremmo esplorare la strada.
Tralasciando Arpège di Franco Donatoni – brano sul quale si sono già spese parole a sufficienza – la sorpresa più gradita del 28 marzo è stata Cinemaolio di Francesca Verunelli. Nella lunga presentazione scritta dalla stessa autrice per le note di sala viene fatto un riferimento puntuale al cinema delle origini evidenziando il parallelo tra questo e l’immagine del “meccanismo voluminoso” che la sua musica evoca attraverso “gesti” ripetitivi e ritmici. L’ascoltatore si trova immerso in un universo di suoni piccoli e penetranti la cui ostinazione ricorda quello di una goccia che cade con regolarità disarmante o l’incantamento che ci provoca il lento formarsi delle stalagmiti nelle grotte (ma anche paradossalmente il gocciolio di un rubinetto nel silenzio notturno). Si resta affascinati dal formarsi di questa trama fine ricamata dai musicisti dell’Ensemble. Con difficoltà si riesce a mantenere una visione d’insieme, persi come si è in questo mondo in cui il punto sembra essere la figura geometrica predominante (il mondo a una dimensione evocato da Abbott in Flatlandia, dal quale è difficile immaginare altro al di fuori di sé, del presente immediato). Eppure, alla fine del pezzo, si ha la l’impressione di aver trovato un senso che travalica quello inciso dai singoli momenti e che si applica bene all’intera forma. I tanti episodi del brano, scanditi a volte da gesti cadenzali eufonici affidati al pianoforte, sembrano di colpo ordinati, come la confusione di una stanza disordinata appare perfettamente sotto controllo all’inquilino stesso.
Anche nel pezzo Autour de moi 1, la compositrice in residence Diana Soh ha trovato un linguaggio espressivo e a lei congeniale col quale esprimersi. Il trattamento del materiale sonoro e la texture stessa dei brani, peraltro, accomuna la Soh e la Venturelli. Senza dilungarsi troppo o perdersi in futili convenevoli la sua musica si immerge fin dall’inizio in un complesso contrappunto ritmico fatto di incastri sghembi e irregolarità che la rendono interessante. Ben più ostici si presentano i rimanenti due brani, Kaléidoscope e Studio sull’incisione, rispettivamente di Vincent Portes e Lorenzo Troiani. Quest’ultimo si lascia tentare dai suoni prodotti da una lamiera di metallo sfregata e dalle diverse risonanze che questa produce, costruendovi intorno una sonorità che si compenetra in quelle e le asseconda. L’Ensemble appare di colpo quasi come un unico strumento e ricorda molto un tentativo di sintesi sonora che ci riporta improvvisamente alle iniziali parole del Tasso e dell’imitazione della natura. Quasi come se Troiani si divertisse a relazionarsi con le sonorità più naturali della lamiera, tentando dapprima di imitarle, poi scostandosene un poco.
Affascinato dai lavori spettralisti sembra essere Portes, del quale è presentato un lavoro che, almeno all’ascolto, si avvicina molto alle sonorità rarefatte della musica contemporanea francese. Il giardino magico di Armida è ricco di fascino per i forestieri – pappagalli canterini, piante meravigliose, alberi in fiore – così come lo è la musica d’oggi:
“Fra melodia sì tenera, fra tante / vaghezze allettatrici e lusinghiere, / va quella coppia, e rigida e costante / se stessa indura i vezzi del piacere.”
Si continua questa sera al Conservatorio di Milano con tre composizioni in prima assoluta commissionate da Divertimento Ensemble legate al tema delle “migrazioni” che incastonano ancora una volta un gioiello di Franco Donatoni Hot per saxofono ed ensemble.
Fotografie © Giovanni Daniotti