Un repertorio poco conosciuto quello delle sonate del grande compositore barocco. Debargue ci presenta uno Scarlatti immediato, senza filtri, lontano dalle delicatezze neoclassiche a cui siamo abituati, ma godibilissimo
“I would say that he is a very close friend of mine!” commenta il giovane Lucas Debargue nel video di presentazione al cofanetto dedicato alle sonate di Scarlatti, pubblicato dalla Sony nel 2019. E sembra davvero che i due musicisti si conoscano intimamente, una volta ascoltato il risultato delle registrazioni. Il titolo preciso dell’uscita discografica è Scarlatti: 52 Sonatas, incastonato nella copertina in un tipico azulejo portoghese che ci riporta immediatamente alla corte di Ferdinando IV di Spagna e Maria Barbara del Portogallo, per la quale Scarlatti compose la maggior parte della sua produzione tastieristica. Erano i primi decenni del Settecento, i grandi splendori delle corti reali, le danze a corte, le gigue, i minuetti e le gavotte – le ultime prima della rivoluzione francese.
Dentro a queste splendide piastrelle decorate in bianco e azzurro stanno i quattro CD che raccolgono la paradossalmente ristretta selezione delle sonate scarlattiane (poiché in totale sarebbero ben 555!). Ma 52 sonate sono un numero più che sufficiente per inaugurare la conoscenza con la musica del compositore barocco, se non approfondirla. In effetti, tra i grandi compositori della storia, Scarlatti non è stato uno dei più fortunati, e la sua musica, sebbene apprezzata da molti e considerata rivoluzionaria e originale, resta piuttosto sconosciuta al largo pubblico. Per essere più precisi, esistono alcune storiche incisioni integrali delle sonate (tra le più celebri quella di Scott Ross al clavicembalo) ma rimangono, tuttavia, un numero piuttosto ristretto. Quanto alle incisioni parziali, basta ricordare il numero esorbitante delle sonate per capire come possa essere difficile averne anche solo che una vaga conoscenza: come in tanti altri repertori, è capitato che pochissime tra le tante sonate acquistassero un conclamato successo, e le altre venissero lasciate a riposare nei cassetti.
La selezione per questo cofanetto è stata effettuata da Debargue in persona, assiduo frequentatore di tutto il catalogo scarlattiano, che si è concesso la libertà di scegliere secondo il suo gusto personale. In questo modo gli ascoltatori si imbatteranno in sonate a loro sconosciute o raramente frequentate, affiancate ad altre più celebri. Insomma, non v’è una vera e propria logica classificatrice, ma soltanto l’estro dell’interprete a guidarci in questo meraviglioso ascolto, un percorso variopinto e ricco di contrasti. Tanto è stato scritto sulla rivoluzionaria scrittura tastieristica di Scarlatti, sulle arditezze virtuosistiche delle ottave, dei salti vertiginosi o degli incroci delle mani (magnifica la K.125, tra le tante possibili). Ciononostante, molte delle sorprese arriveranno dagli imprevedibili passaggi armonici, dall’esasperazione degli aspetti di “introspezione spinta fino alla ipocondria”, per usare le parole di Piero Rattalino, che si ritrovano negli arzigogolati sviluppi armonici (in questo caso esemplare è la K260, con l’alternanza espressiva e drammatica di modo maggiore e minore). Persino la sintassi musicale può uscirne sconquassata, come se l’estro improvvisativo e rapsodico del compositore prevalesse sul resto; e l’ascoltatore può seguirne incantato il magico divagare.
Fino ad oggi le interpretazioni pianistiche e clavicembalistiche della musica di Scarlatti sembravano non essere in grado di dialogare affatto. Dopo i grandi nomi di Horowitz, Lipatti o Benedetti Michelangeli abbiamo avuto una ripresa di interesse nei confronti della sua musica con interpreti del calibro di Schiff, Pogorelich e Pletnev, sebbene questi ultimi siano rimasti piuttosto legati all’impostazione data dalle generazioni precedenti. La recente scuola filologica e le rispettive interpretazioni al clavicembalo hanno fornito uno spunto interpretativo più interessante, ed è da qui che sembra pescare il giovane Lucas Debargue. Infatti, seppur restando legato al proprio strumento, Debargue toglie il pedale di risonanza e ricerca una sonorità aggressiva più simile a quella clavicembalistica che a quella pianistica. La sonata K.105 fornisce un esempio di questa sonorità all’apparire degli accordi con la mano sinistra, violentemente “strappati” alla tastiera. La meccanicità che potrebbe inizialmente apparire come una mancanza di espressività si scopre essere proprio una scelta espressiva, altrettanto capace di stregare l’ascoltatore. Certo, siamo lontani dalle delicatezze neoclassiche a cui forse eravamo abituati, ma vale la pena mettersi alla prova perché il risultato è uno Scarlatti che pare più diretto e sincero del solito.
L’ascolto del cofanetto scorre rapidamente grazie alla varietà della scrittura di Scarlatti, capace di tratteggiare piccole fiabe in ognuna delle brevi sonate. A differenza di quelle che avrebbero fatto seguito da lì a pochi decenni, le sonate di Scarlatti sono brevi pezzi di un solo movimento bipartito, con ripetizione di entrambe le parti. A volte appaiono proprio come miniature (come la delicata K.431) e solo raramente superano la durata dei cinque minuti (tra queste la magnifica K.115 in do minore, che racchiude tante delle particolarità di queste sonate, come la contorta e spezzata sintassi armonica o la scrittura virtuosistica con arpeggi e incroci di mani). Insomma, Debargue ci presenta uno Scarlatti immediato, senza filtri, meno rude che al cembalo e allo stesso tempo meno imbellettato che al pianoforte. L’incontro tra i due musicisti è memorabile, piacevole e interessante.
La foto di copertina è di Xiomara Bender