Autorevole e spiazzante, pragmatico e creativo: non un libro, non un manuale, ma un Oracolo (in versione moderna) in duecento pronunciamenti e una serie di cactus. Nel nuovo lavoro di Giulio Mozzi un condensato di riflessioni millimetriche sulla scrittura, sulla letteratura e sul nostro stare in relazione attraverso il racconto.
Insegnare senza far percepire fatica, si sa, è una faccenda piuttosto complicata. Insegnare con leggerezza lo è ancora di più. Ma insegnare riuscendo anche a strappare un sorriso: beh, questa è cosa in cui davvero pochi riescono.
Quando per di più si voglia far passare la materia con puntiglio, precisione, e per scritto – cioè: senza la quadrimensionalità di un rapporto umano in presenza, ma affidandosi alla nuda carta – l’unica è raccomandarsi a qualche divinità superiore.
E sarà forse perché, negli ultimi duemila anni, oltre alla vecchia Pizia, altra migliore intermediaria non è stata ancora inventata, che l’ultimo lavoro editoriale di Giulio Mozzi, edito da Sonzogno, proprio agli usi delfici si riferisce.
Perché esattamente di un Oracolo manuale per scrittrici e scrittori si tratta.
Certo, i fumi della caverna sono riveduti e corretti: al posto delle foglie buttate all’aria dal vento sacro, ci sono i fogli di un libro – la cui numerazione è però assente, in modo da mimarne l’intercambiabilità e la fluidità nella consultazione. Mimetica è anche la materia su cui l’Oracolo può essere interpellato: ci sono, certamente, le guerre, gli amori, le scelte, i dubbi – ma sono quelli che dibattono nel cervello di chi si confronta con la costruzione di una immaginazione letteraria; che, poi, in definitiva, altro non sono che gli elementi della più grande imitazione del reale: la scrittura.
Icastico proprio come un pronunciamento oracolare sono il tono e la brevità dei pensieri contenuti nelle pagine di destra, lì dove l’occhio cade nella ricerca – e tre, in particolare, (“Amplia”. “Forse”. “No”) avrebbero fatto l’invidia della più scaltra delle Pizie. Però, a differenza che nell’antro di Apollo, in aiuto al postulante di turno c’è un fitto apparato di esempi e di spiegazioni esplicative, che costituisce, nelle pagine appaiate, a sinistra, una sorta di seconda identità del libro.
Lo scopo altro non è – così come dichiarato dall’autore – che
“aiutare chi muove i primi o i secondi passi nell’umana pratica del raccontare a diventare un po’ più consapevole, un po’ meno ingenuo, e forse addirittura un po’ più bravo”.
Il metodo è condensato in duecento massime costruite in modo binario: ogni definizione (o immagine mentale) è affiancata da una definizione articolata, e il contrappunto di tutto è un apparato di immagini originali (dei cactus, che ne combinano di ogni tipo, e a nulla si sottraggono, poiché “scrivere è una questione spinosa”) a firma di Alessandro Lise e Alberto Talami, coppia di autori di fumetto di gran pregio.
Lo stile ha una forma giocosa: ma, come tutti i giochi che si rispettino, non scherza per nulla.
Aiuta, per capire meglio da dove arrivi questo libro, pensare alla storia del suo autore.
Giulio Mozzi – che tra gli scrittori italiani ha alle spalle oltre venticinque anni di lavoro editoriale, ed è maestro nell’arte del racconto (esordì nel 1993 con la raccolta Questo è il giardino, cui seguirono nel 1996 La felicità terrena, nel 2001 Fiction, nel 2009 Sono l’ultimo a scendere, e nel 2015 Favole del morire) – ha dedicato alla teoria della narrazione, prima di questo, altri tre lavori.
Di quanto il suo approccio voglia mantenersi lontano dalla forma del manuale già era dichiarato nella introduzione al suo Ricettario di scrittura creativa (Zanichelli, 2000), composto insieme a Stefano Brugnolo:
L’abbiamo chiamato Ricettario perché vogliamo che nessuno lo confonda con un “manuale”. I “manuali” hanno la pretesa di insegnare per filo e per segno come si fa una cosa. Noi non abbiamo pretese di questo genere. Questo Ricettario è solo un libro di esempi, istruzioni ed esercizi.
Nel 2009 Giulio Mozzi torna sull’argomento. Lo fa con un libro pubblicato da Terre di Mezzo. Il titolo è, ancora una volta, significativo : (non) Un corso di scrittura e narrazione.
In apertura, lo scrittore dà conto del senso del suo lavoro.
“Ma si può insegnare a scrivere e raccontare?”
La domanda è rituale. Rispondo: si può insegnare tutta la parte tecnica dello scrivere e del narrare. (…) La tecnica di composizione del discorso, ossia la Retorica, ossia la tecnica di argomentare e raccontare con efficacia, si insegna da sempre. I primi manuali di tecnica del discorso li scrissero alcuni avvocati siracusani, riferisce Cicerone, più di quattrocent’anni avanti Cristo. Grammatica (cioè la conoscenza della lingua) e Retorica sono state per secoli le colonne portanti della cultura europea.
Infine al 2014 risale L’officina della parola (Sironi editore), ancora in coppia con Stefano Brugnolo: autentico scavo negli stili e nei registri della scrittura. Un lavoro approfondito, minuzioso – quasi tellurico – costruito con capacità di analisi manuelina e una quantità di esempi pregevole.
È interessante, alla luce dei libri precedenti, analizzare l’evoluzione del discorso teorico portato avanti da Mozzi, che nel suo insieme poggia su due direttrici: l’individuazione del processo creativo (per snidare le idee) e l’insistenza sul perfezionamento (per rendere inattaccabile l’immaginazione).
Se nel Ricettario il metodo operativo prevalente era quello del laboratorio, in (non) Un corso di scrittura e narrazione l’insegnamento passa attraverso ipotesi di cambiamento, applicazioni di ipotesi e valutazioni – l’autore, cioè predilige un sistema euristico-partecipativo. Infine, nell’Officina la riflessione proposta è maggiormente descrittiva e deduttiva.
Ciò che accomuna ognuna di queste opere, oltre a una riflessione pervasiva sulla narrazione concepita come fatto relazionale e, di conseguenza, sulla necessità della letteratura, è il fatto di sviluppare volta per volta uno stile didattico in costante ampliamento: come se il tentativo fosse, oltre che quello di andare a fondo sulle questioni della narrazione, anche quello di superare la distanza con il lettore (e potenziale apprendente).
Ecco, dunque, che nell’Oracolo ogni precedente ordine viene scardinato: siamo di fronte ad un libro che tenta un curioso e coraggioso sistema a un tempo induttivo, sperimentale, laboratoriale e pure individuale.
Un unicum didattico nel panorama italiano, che si rifà a illustri precedenti (le Oblique Strategies di Brian Eno, tanto per cominciare, molto care a Mozzi; o The Book of Answers di Carol Bolt; e ancora Six Thinking Hats di Edward De Bono).
La scommessa dell’Oracolo (che è manuale, scrive l’autore, perché sta più o meno nella grandezza di una mano) è quella di essere un libro normativo ma che spinge alla libertà.
Si può essere, insieme, ritrosi e propositivi? Autorevoli e spiazzanti? Pragmatici e creativi?
La risposta sta nell’impianto stesso del libro: che si può leggere a salti, aprendo a caso alla ricerca di ispirazione, lasciando che le massime delle pagine di destra accendano possibili interruttori mentali; oppure dall’inizio alla fine – e in questo caso saranno le pagine di sinistra a costruire una narrazione delle narrazioni, di godibile e intelligente fattura, una sorta di storia della letteratura fatta a partire dagli atti creativi della letteratura stessa.
Destinato a chi è bloccato davanti alla pagina, ma anche a chi pensa di non avere nessuna necessità di sentirsi bloccato, l’Oracolo manuale è un vero allenamento alla crisi e alla sua coltivazione, e le micce di innesco sono disseminate in ogni singolo pronunciamento. Disassare, favorire uno sguardo eccentrico, spiazzare sono strategie di induzione ben precise:
“L’invenzione di una storia non è una cosa che si crea da sé, ma viene da un ragionamento razionale – afferma Giulio Mozzi in una delle sue lezioni – Il momento sorgivo viene da uno stimolo esterno. Bisogna prenderne nota e indugiare: perché un testo, una volta scritto, ha le sue ragioni e cerca sempre di difendersi”.
Un esempio pratico dei pensieri dell’Oracolo, sul senso di questa lettura, aprendo a caso?
“Le narrazioni
– e la letteratura
in generale – sono
uno dei modi in cui
gli esseri umani si
relazionano tra di loro.
Con chi vuoi entrare
in relazione, tu?”