Umberto Orsini in scena al Piccolo con Il giuoco delle parti: l’emblematica commedia pirandelliana rivive in versione immaginifica ed egualmente “reale”, grazie all’ispirata regia di Roberto Valerio
È un’arte che nasce dalla mente di un lucido folle quella del Giuoco delle Parti di Umberto Orsini e si addentra in cunicoli luminosi che scandiscono un tempo bergsoniano (ebbene si, le citazioni al filosofo parigino sono tutte pirandelliane) che entra ed esce dagli eventi di un Leone Gala, immerso in un’atmosfera beckettiana.
La parte non è solo quella che Leone gioca con l’amante della moglie, Guido Venanzi, istigato a ingaggiare una sfida per vendicarle un oltraggio subito, allo scopo di essere eliminato. Abile e cinico macchinatore dei rispettivi ruoli; la gelosia e le meschinità sono ricomprese nello sguardo solitario di una riflessione immaginaria, “come se” il nostro Leone Gala fosse lui stesso vittima di una patologia psichiatrica, in cura in una clinica e costretto passivamente e quasi proustianamente a non dimenticare l’omicidio calcolato, i battibecchi con la moglie, le tacite sfide con il di lei spasimante, il tutto scandito dal modificarsi spaziale di una scenografia che si fa serva del pensiero in una stanza ospedaliera che è anche la casa dei suoi ricordi.
[youtube width=”630″ height=”315″ video_id=”AQ8J_KYqsjE”]
Le azioni di Leone Gala si sviluppano in modo consapevole ma inevitabile, come l’interesse di uno spettatore seduto a contemplare la messa in scena drammatica della sua vita che è costretto a viverne o a riviverne stanislavskianamente gli snodi più profondi, senza per questo riuscire a rappresentarla a comprenderla, così com’è legato alle sue intime, autoreferenziali, confessioni personali.
Il filo teso e variegato delle emozioni, delle strategie, dei giochi e dei conflitti, si dispiega attraverso gli occhi di un unico personaggio in un testo che partorisce il malsano seguito di sé stesso: Leone Gala sembra fare le veci a Enrico IV, parlare con il suo fantasma o la sua nemesi, in un gioco delle parti che coinvolge tutti gli elementi del teatro.
In primis la recitazione di Umberto Orsini, Alvia Reale, Totò Onnis; le suggestive e psicologiche luci e scenografie di Maurizio Balò, i costumi di Gianluca Sbicca e la regia, onirica e limpida, di Roberto Valerio.
Tutto concorre a rendere una commedia siciliana qualcosa di più surreale, etereo e malinconico, in un mondo che esprime il contemporaneo in modo interiore, schizzoide, immaginifico e reale allo stesso tempo. È una sorta di visione allucinatoria che prosegue, di tanto in tanto, con la consapevolezza di potersi accostare alla realtà per osservarla da un altro punto, quasi come un ricordo a cui ci si affida con pittoresche intenzioni.
Umberto Orsini dà i natali ad un Pirandello molto vicino a noi, ricordandoci con passione quanto siano potenti tutte le scatole cinesi di una finzione che nell’estremo tentativo di rappresentare la vita, mette a nudo le debolezze (o le forze) del pensiero umano.