Un gran Goldoni: morte (apparente) a Venezia

In Teatro

Nelle “Donne gelose” il regista Giorgio Sangati mette in scena nel buio delle calli una classe in disfacimento col vizio attuale del gioco. Fausto Cabra un Arlecchino in bianco e nero

È un insolito Goldoni quello in scena al Piccolo Teatro Studio Melato, per la regia di Giorgio Sangati. Il testo è un classico goldoniano, e sarebbe stato lo spettacolo che Ronconi avrebbe messo in scena dopo Lehman Trilogy di cui aveva già tratteggiato delle idee. Propri dagli echi del lavoro del maestro si snoda la regia che fa del tema della gelosia un motivo per parlare dell’abisso delle relazioni infernali, in cui lo spirito della lingua veneziana – reso molto comico – rivela una città il cui Carnevale del 1752 mostra i suoi tratti più oscuri e decadenti. La vicenda ruota attorno a un gruppo di donne (bravissima la Picello che interpreta Tonina), sospettose della condotta morale dei loro consorti, irretiti dalla vedova Lugrezia. Più che osannare l’atmosfera della festa, la scenografia minimale fa apparire gli interni luminosi come incupiti dai rapporti di possesso e rabbia che circolano tra le donne e gli esterni statici silenti, simili ai cunicoli di una città-sottosuolo, di un mondo oscuro che pervade l’atmosfera generale. L’idea forse è quella di un abisso da cui di volta in volta i personaggi salgono e scendono, percorrendo le aperture del palcoscenico e le porte che si aprono e chiudono, un po’ come in Celestina, dove il pavimento porta sempre in una dimensione “sommersa” e trasforma le calli in cunicoli insicuri, cui gli occhi di qualche inquisitore sono sempre puntati.

 

Uno dei temi che si impone, più che la gelosia, è ancora quello del denaro, posto però sotto la forma del gioco, del lotto, delle previsioni numeriche, cabalistiche, che portano l’uomo ad azzardare fino ad una morte morale, rischiando la propria anima e i propri valori pur di riempire la saccoccia e la lingua. È Lugrezia, interpretata da Sandra Toffoletti, la vera madre di tutti i giochi e manovra le sue marionette controllandone i desideri, divertendosi a ristabilire la propria “onorabilità” accusata dalla chiacchiere delle mogli, ma ben consapevole di come andrà a finire il disegno generale. Il bisbigliare, lamentarsi e insidiare maldicenze delle protagoniste si scontrano con una vedova-maga capace di trattenere nelle sue fila gli uomini con l’ingegno e con l’astuzia più che con l’attrazione sessuale. Il sortilegio ha il volto della scommessa, dei piccoli oggetti di scambio, degli affari neri che avvantaggiano tutti o delle lusinghe velate, culminanti in calunnie aperte. Non a caso anche i costumi colorati hanno una bordatura grigiastra che richiama l’incolore di tutto l’ambiente e Arlecchino, interpretato da un bravissimo Fausto Cabra, è vestito con una tuta scolorita che prelude alla rovina di un ambiente destinato al baratro, com’era in Lehman.

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Lui,  perso in una situazione dalla quale non può uscire, è il vero personaggio manipolato e destinato al servilismo da anime che sembrano aver perso ogni possibilità di raziocinio. Anche il Ridotto, cui culmina l’uscita carnascialesca delle donne, appare come la riva di uno Stige, un luogo macabro in attesa di una sentenza di lì a poco prossima ad essere pronunciata, come in terme un po’ più lugubri di un 8 ½ felliniano, popolate da sussurri e insinuazioni di condannati in attesa del giudizio per risalire o sprofondare ancora di più, i cui gendarmi diabolici fanno guardia ai loro corpi. Si sente l’atmosfera di un vuoto esistenziale, quasi sartriano e spirituale, dei rapporti tra donne e uomini in equilibrio tra arretratezza umana e bramosia e di un’antichissima e triste madrina di un’umanità ormai in preda a tristezza e solitudine. Si sente il gioco linguistico di un testo a cavallo tra Commedia dell’Arte e Riforma del teatro, che assume su di sé già la cifra di una critica alla società contemporanea schietta e pungente. E si sente un suggerimento lontano ma preciso e puntuale di come Ronconi, in questo Goldoni, ci avesse visto ben più di una commedia settecentesca, ma un dramma contemporaneo.

(Per le foto si ringrazia Piccolo Teatro) 

LE DONNE GELOSE, di Carlo Goldoni, al Piccolo Teatro Studio Melato fino al 22 novembre

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