Che ne sappiamo noi d’un campo di grano?

In Arte

C’è (c’era?) un’opera d’arte forse straordinaria tra l’Isola e i grattacieli di Porta Nuova. In pochi se ne sono accorti, e allora cosa l’abbiamo fatta a fare?

Fra le centinaia di iniziative legate a Expo potrebbe esservi sfuggito Wheatfield, remake di un’opera realizzata per la prima volta dall’americana Agnes Denes a New York nel 1982 e riproposta negli scorsi mesi a Milano con il sostegno della Fondazione Riccardo Catella, della Fondazione Trussardi e di Confagricoltura, cuore del progetto MiColtivo. The Green Circle.

L’opera dell’ecological artist – etichetta che la Denes preferisce, non a caso, a quella di land artist – consiste di un campo di grano di circa 50.000 m2, collocato nell’area incastrata fra quartiere Isola e i grattacieli di Porta Nuova dove, in un prossimo futuro, sorgerà il parco pubblico Biblioteca degli alberi. La realizzazione non è stata così facile come potrebbe sembrare: considerate che sono stati impiegati 15.500 m3 di terra da coltivo, 1.250 kg di semi e 5.000 kg di concime. Il grano, seminato a partire dal 28 febbraio col concorso della cittadinanza, è stato mietuto – sempre collettivamente – a partire dal 9 luglio, in occasione della Festa del Raccolto.

Nell’intervista rilasciata per l’occasione la Denes, che non ha potuto seguire di persona le fasi di realizzazione dell’opera, ne evoca rapidamente il significato anche umanitario, immutato se non rafforzato dal 1982 a oggi, invitando i milanesi a partecipare alla semina e al raccolto, nonché ad amare e fotografare il grano come aveva fatto lei stessa a Manhattan. Forse però è un bene che l’artista non sia riuscita a venire a Milano: non so se ci siano dati disponibili per una valutazione oggettiva ma, almeno stando al fascino delle foto anni ’80, pare che a Downtown l’opera sia riuscita meglio che a Isola.

Fra le più celebri operazioni di land art, ai suoi tempi Wheatfield ha veramente scritto la storia del genere, addirittura superandolo. Non si trattava infatti di un “semplice” intervento ambientale, ma di un’operazione collettiva e potentemente concettuale, che coinvolgeva conoscenze e sollecitava riflessioni relative tanto alle scienze naturali e quanto a quelle sociali. La sua intima potenza superava forse anche le stesse preoccupazioni ambientali che muovevano la Denes.

Che ne sai tu di un campo di grano / poesia di un amore profano. Sarà banale, ma l’impatto di Wheatfield potrebbe essere riassunto dalla celebre Pensieri e parole di Lucio Battisti. Il campo di grano altro non è che il correlativo oggettivo di un’emozione, un sentire quasi ancestrale – forse perché quasi perduto – del rapporto dell’uomo con la natura, con l’umanità stessa, con la vita insomma. Una sorta di cartolina dal Paradise lost. Chi, del resto, non si lancerebbe a correre a braccia aperte fra ettari di spighe di grano dorato in una città dove la nevrosi è di moda / chi non l’ha ripudiato sarà?

Wheatfield funziona proprio per questo. Non perché, come ha il coraggio di sostenere qualcuno, si tratterebbe di “un progetto umano che aiuta davvero la città e le famiglie a stare insieme”. Questa – perdonate – francamente mi pare una boiata bella e buona. Più che come progetto sociale, credo che un campo di grano fra i grattacieli di Milano attragga perché, come sottolineato ipercriticamente ma – preso per un certo verso – giustamente dal fotografo Pepi Merisio, che di vita agreste se ne intende, è spettacolo, è forzatura. È, in fondo, arte.

Forse davanti a un’opera così si rischia fin troppo facilmente di scadere nella cavalcata nostalgica del ragazzo della via Gluck, quello che là dove c’era l’erba ora c’è una città, oppure di schierarsi con Gaber che, sbeffeggiando un certo ecologismo strappalacrime, risponde al supermollegiato lamentando che è ora di finirla di buttare giù le case per fare i prati. Fatto sta che oggi là dove c’era Wheatfield resta un campo vuoto, trasformato in pista di partenza per le mongolfiere targate Jeep che promettono un’emozionante “Balloon Experience” fra i grattacieli di Milano. Forse è arrivato il momento, finito il tempo delle valutazioni estetiche, di chiedersi quanto realmente incida un’opera del genere sul pubblico che non solo la vede, ma vi partecipa.

Foto: Wheatfield – A Confrontation: Battery Park Landfill, Downtown Manhattan © Agnes Denes

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