Peter Farrelly da “Tutti pazzi per Mary” a “Green Book”: è sorprendente la metamorfosi del regista di commedie trash che torna con un racconto di grandi interpreti (Viggo Mortensen e Mahershala Ali, entrambi candidati alla statuetta, come il film) e nobili spunti. Si racconta l’accidentata amicizia tra un elegante musicista jazz e il suo dipendente italo-americano pieno di pregiudizi, che arriverà a capire l’altro. Tony insegna a Shirley a sentirsi libero, Shirley insegna a Tony ad accettare chi non è come lui
The Negro Motorist Green Book di Victor Hugo Green, pubblicato dal 1936 al 1966, era un manuale per automobilisti neri in cerca di una “vacanza senza complicazioni”, una guida turistica indispensabile che elencava luoghi di soggiorno amichevoli e suggerimenti per evitare guai nell’America ai tempi della segregazione razziale. Il regista Peter Farrelly (Tutti pazzi per Mary) riprende il titolo della guida per il suo ultimo film Green Book, già vincitore di tre Golden Globe e in corsa agli Oscar con cinque nomination per il film, i due protagonisti, il montaggio e la sceneggiatura originale. Questo road movie è il racconto della reale amicizia tra il dottor Don Shirley (Mahershala Ali), un pianista di fama mondiale giamaicano-americano, e Tony Vallelonga (Viggo Mortensen), un buttafuori italo-americano di New York City che Shirley assume come suo autista personale e guardia del corpo durante un tour che lo porta attraverso le sale da concerti degli Stati Uniti segregazionisti del Sud.
Pur rimandando a quella tradizione di coppie interculturali legate, che simbolicamente rappresentano il riscatto dell’America dal suo peccato razziale originale, giocando sull’inversione del rapporto di dominio bianco/nero Green Book ha molto più da offrire di una semplice copia di A spasso con Daisy. L’opposizione tra il gorilla di night club, attaccabrighe e delicatamente xenofobo come era l’americano medio degli anni ’60, e il suo elegante capo di colore che non ha mai mangiato pollo fritto con le dita, elude la caricatura spostandosi sul terreno politico.
Il vero dramma, così come la commedia, è tra i due uomini: è un racconto di guarigione, di come superino le loro differenze e formino un’improbabile amicizia. Ognuno cambia ascoltando l’altro: Tony insegna a Shirley come sentirsi libero e Shirley insegna a Tony come accettare quelli che non sono come lui. Ed è indubbio che i due protagonisti regalino un’incredibile performance; raramente vediamo Mortensen in ruoli comici, ma il suo sorriso sciocco sembra perfettamente adatto e Ali è una meraviglia da guardare nelle sue esibizioni musicali, ricorda Eddie Murphy in Il principe cerca moglie unito alla compostezza di Adrien Brody in Il pianista, in cui l’esecuzione funge da modo di comunicare attraverso le differenze culturali.
Peter Farrelly conosce i classici, richiama la modestia e l’umanità di Frank Capra le cui storie hanno spesso mantenuto solo l’ottimismo proattivo, senza percepire la disperazione: la riconciliazione tra Viggo e Mahershala ha questa profondità. In un paese in cui i neri sono ancora oggi uccisi dalla polizia più spesso di quando erano linciati, durante la segregazione, sembra doveroso dosare pedagogia e umorismo per ricordare questa pagina oscura della storia recente degli Stati Uniti. In Ragtime (1981) di Milos Forman l’eroe, un pianista jazz di colore educato come Don Shirley, sceglie la lotta armata dopo aver subito una serie di umiliazioni razziste nell’America di Roosevelt. Potrebbe essere il nonno del protagonista di Green Book, che opta invece per il metodo dolce, la via della saggezza, perché «non vinci mai con la violenza. Vinci solo quando mantieni la tua dignità.»
Gli esempi di razzismo in questo film sono miti rispetto al terrorismo reale che le persone di colore hanno sperimentato e continuano a sperimentare. L’America ha un presidente che ha dichiarato al mondo di essere un nazionalista (bianco) che promuove politiche dannose per i neri e le persone di colore in generale, ma in qualche modo si resta sorpresi nel vedere una scena in cui un uomo bianco che ha assunto Don Shirley per intrattenere i suoi ospiti ad una festa insiste nel dirgli di usare il bagno fuori nella dependance piuttosto che quello in casa sua. Il film sa essere tanto divertente quanto toccante nei momenti giusti, e anche se mitiga la reale bruttezza dell’intolleranza nella sua rappresentazione, fornisce un punto di partenza per svegliarsi.
Green Book si inserisce in quella lunga serie di film basati su un “salvatore bianco”, come Il miglio verde, The Blind Side, Freedom Writers, Amistad, Blood Diamond, Lincoln. Anche perché la sceneggiatura è stata scritta dal figlio di Vallelonga, Nick, che è cresciuto ascoltando storie sul famigerato viaggio in auto che suo padre aveva condotto con Shirley. Lui e il regista Peter Farrelly hanno preso la decisione consapevole di raccontare la storia da una prospettiva bianca, e ciò è comprensibile, e ci aiuta a capirlo un po’ meglio.
La pellicola ha forse un titolo fuorviante. Mostra il razzismo in modo che non sia poi così difficile sentirsi a proprio agio mentre lo si guarda; è un film su un salvatore ma in cui la persona bianca non salva davvero quella di colore. Quando quella cena, alla fine del film, termina, Shirley torna in un mondo che lo considera inferiore. Come il vero Shirley, che morì in un mondo che lo considerava inferiore. E anche noi continuiamo a vivere in un mondo che spesso “vede” gli uomini di colore inferiori.
Green Book non è un film che impartisce lezioni: non metterà fine al razzismo e non vuole aumentare il senso di colpa bianco, ma è un promemoria che il passare del tempo con persone diverse da noi stessi può essere la chiave per combattere il pregiudizio. Per questo vale la pena di vederlo. E anche per Mahershala Ali, e per l’incredibile attitudine da duro di Viggo Mortensen. Vale la pena di vederlo perché il suo messaggio è universale, e perché il mondo, dagli anni 60, non è poi cambiato così tanto.
Green Book di Peter Farrelly, con Viggo Mortensen, Mahershala Ali, Linda Cardellini, Sebastian Maniscalco, P.J. Byrne