Amici, complici, estranei. Due giovani nell’universo, in una storia iconica: sesso, idiosincrasie e network tra violenze spicce e storture emotive. Il quadro impietoso dei tic di una generazione: quella di oggi.
Un’antica maledizione cinese, diventata piuttosto celebre, augura al malcapitato di vivere in tempi interessanti, in netta contrapposizione alla pace e alla tranquillità di periodi noiosi, decisamente meno degni di nota.
Ora, sinceramente, pur non sapendo verso chi ricondurre quest’atto magico, in ogni caso va riconosciuto che gli sia riuscito piuttosto bene: la situazione dei migranti, la polarizzazione delle democrazie occidentali, le crisi del capitalismo, i revanscismi degli estremismi, l’incapacità di far fronte al cambiamento climatico, e così vita. Tutti argomenti che hanno smesso di essere emergenze contingenti e sono diventati il nostro mondo quotidiano.
Tempi decisamente interessanti.
In questi tempi piuttosto complessi, Gregorio Magini ambienta il suo nuovo romanzo, Cometa. Seguendo la crescita di due ragazzi, Raffaele e Fabio, Magini attraversa tutti gli anni ’90, fino ad arrivare ai giorni nostri e forse un po’ oltre.
Parlare di Raffaele e Fabio, della loro vita, del loro percorso, significa parlare anche di politica, tecnologia, arte di inizio millennio. In particolare, delle loro crisi e di come la crisi umana si rifletta in tutte le altre – politica, tecnologica, artistica – e viceversa, come un infinito gioco di specchi. Ma, forse, la cosa più sorprendente è che Cometa risulta essere anche un perfetto coming of age, per la sua capacità di creare due personaggi come Raffaele e Fabio, estremamente tridimensionali e complessi, mai riducibili a delle banali stereotipizzazioni.
Tu vuoi vivere così per inerzia e comodità
La costruzione psicologica di Raffaele e Fabio inizia fin dalle scelte stilistiche compiute da Magini, di cui la più importante è quella di alternare le sezioni in cui si narrano le vite dei due ragazzi.
La vita di Raffaele è raccontata da Raffaele stesso, in prima persona, quella di Fabio, invece, in terza persona, in un apparente narratore esterno. Questa differenza di narratore è fondamentale per comprendere la psicologia dei due.
Esplicitamente intitolata pseudologia fantastica, ovvero la condizione del bugiardo patologico, la prima parte è dedicata a Raffaele. L’impressione è quella di trovarsi davanti a una persona che, nel raccontare la propria vita, partendo dall’infanzia, fino ad arrivare all’età adulta, mantenga soltanto un labilissimo filo con la realtà, puntando tutto sull’accumulo e sull’esagerazione.
La scelta di far narrare a Raffaele stesso la propria vita rende perfettamente il suo carattere narcisistico, soprattutto perché ce lo mostra in azione e lascia che siamo noi a comprenderlo. Le due caratteristiche principali di Raffaele sono l’iper-sessualizzazione e l’ironia con cui affronta tutto. L’iper-sessualizzazione emerge fin dalle prime pagine, quando, per parlare dei suoi primi anni di vita, racconta di come in culla vedesse i suoi genitori fare del sesso con degli sconosciuti o di come all’asilo stesse quasi per fare un’orgia (bugiardo patologico, appunto).
Il sesso è la lente con cui Raffaele legge non solo la realtà, ma la sua stessa vita: nel momento infatti in cui gli si chiede di narrare di sé, lo fa raccontando con chi ha fatto sesso. Il perché delle sue scelte, da quelle politiche a quelle artistiche, lo riconduce immancabilmente al sesso. Ma, proprio perché ci troviamo di fronte a un bugiardo patologico, questa iper-sessualizzazione diventa sintomo di qualcos’altro, una maschera che Raffaele indossa.
A questo proposito, emerge la seconda caratteristica principale: l’ironia.
David Foster Wallace metteva in guardia sul pericolo dell’ironia in Pluribus Unum, e Raffaele ne è l’incarnazione e perfetto esempio. Il ragazzo non prende nulla seriamente, tutto per lui è distacco e cinismo. Non vi è nulla che valga più di qualcos’altro. È tutto un indistinto mare di sesso e noia:
vogliono… vogliamo… volevo vivere subito… senza nessuna concezione né prospettiva, senza capire un cazzo di nessun ambito, sport, scienza, filosofia, arte, moda, senza nessuna visione del mondo, senza alcuna idea della vita, senza un punto di vista, senza una specializzazione, senza una morale e tantomeno un’etica, senza angoscia né rabbia né amore né disgusto. Tutto dissolto, nella cruda, cristallina, intensità del presente.
Quello che però rende interessante Raffaele e riesce a farlo diventare da macchietta a vera e propria persona è la capacità di Magini di farci vedere oltre questa superficie, di farci intuire come l’iper-sessualizzazione e l’ironia siano soltanto degli strumenti di difesa, una protezione, nemmeno troppo efficace, contro un mondo troppo complesso e duro. Un mondo che, quando riesce a penetrare nelle difese di Raffale è pressochè devastante:
abbracciavo Fabio ed ero tenero e gli giurai che ero una persona buona, poi cercai di prenderlo a cazzotti ma era troppo grosso, sbracciavo e piangevo, mi fermò con una sola mano, e avevo del sangue in bocca, e mi abbracciò, e piangevo, e piangevo, e mi odiai.
Tanto Raffaele è concentrato su di sé e sul proprio piacere, tanto Fabio risulta distaccato. I suoi capitoli sono, infatti, raccontati in una terza persona apparentemente esterna. Ma, proprio come per Raffaele, non è difficile immaginare che la terza persona esterna sarebbe il narratore che Fabio, se potesse, sceglierebbe per sé. Profondamente distaccato, al limite dell’alienazione e dell’autismo, Fabio rifiuta ogni contatto, se non fisico, quanto meno umano, chiudendo chiunque fuori, o dando il minimo indispensabile.
La scelta della terza persona è quindi la scelta di chi non vuole trovarsi immischiato nemmeno con la propria vita. È una dichiarazione di intenti.
C’è un episodio piuttosto emblematico di questo rifiuto: Fabio, appena adolescente, riceve le attenzioni di una ragazzina, che, per corteggiarlo, gli porta un album con tutta una serie di foglietti, biglietti e cose simili che il ragazzo ha buttato via. Inquietante, per carità, ma anche segnale di un sentimento profondo e genuino. Fabio, in risposta, brucia tutto il bruciabile e butta il resto nel fiume: è inaccettabile che qualcuno possa vederlo così nudo, così precisamente, e soprattutto che possa amarlo: significherebbe esistere. E se c’è una cosa che Fabio vuole è non esistere. Non in questa realtà, per lo meno. La sua passione per i mondi digitali è soltanto la versione concreta (e forse meno patologica) della sua costruzione mentale di altre realtà da abitare, ben meno dolorose, ben meno complicate.
Questo è il punto di contatto fra Raffaele e Fabio: un’incapacità di far fronte al dolore e alla complessità della vita, a cui ognuno dei due poi risponderà a modo suo – l’iper-sessualizzazione ironica di Raffaele, l’alienazione di Fabio. È interessante notare come Magini non faccia cadere dall’alto queste condizioni, ma riesca a inserirle all’interno di un quadro psicologico complesso, che è possibile scandagliare e analizzare, cercando di comprendere i suoi protagonisti – per esempio, una questione che meriterebbe di essere approfondita è come questi comportamenti di Raffaele e Fabio siano una risposta alle loro infanzie e ai loro genitori.
E LA COMETA DI HALLEY FERì IL VELO NERO
Raffaele e Fabio, pur con tutte le loro differenze, sono due facce della stessa medaglia, o, meglio, due modi diversi di rispondere alla stessa incapacità di fondo. Sono l’uomo di questi anni, un uomo che descriveva bene Tony Soprano ormai vent’anni fa, chiedendosi che fine avesse fatto lo strong silent type alla Gary Cooper. La verità è semplice: questo non è più un mondo per Gary Cooper.
Il mondo di Raffaele e Fabio, infatti, è caratterizzato dalle loro stesse paure e idiosincrasie. Raffaele nella sua vita intercetta i movimenti politici come quello no-global di Napoli, prima, e i black bloc di Genova poi.
Magini, però, non punta l’attenzione sulla violenza di quei giorni, quanto più sul vuoto che la sottende, sulla sensazione che la lotta sia motivata sì da una qualche spinta ideologica, ma che dietro vi sia anche una specie di infantilismo. Le lotte sono il tentativo più (i movimenti pacifici) o meno (i black bloc) genuino di riuscire a scendere a compromessi con la realtà.È, cioè, il loro modo di cercare di far fronte alla vita. Questo infantilismo, che può essere ritrovato facilmente anche nella costante ricerca del piacere, è lo stesso che emerge nel mondo dell’arte, sia in quella di Raffaele, con la sua assurda installazione artistica (che non è quasi manco più una metafora da quanto è palese), sia nell’incontro con il fotografo Rødh: “Mi danno tutte retta, mi danno la fica, perché sono un artista”. L’arte, come la politica, quindi risulta essere soltanto l’ennesimo disperato tentativo di avere un po’ di affetto, un po’ di attenzione, di cui il sesso è forse la manifestazione paradossalmente più diretta e innocua.
Nemmeno troppo sorprendentemente, Raffaele e Fabio incrociano la propria vita in un progetto tecnologico. Le caratteristiche infantilistiche del mondo tecnologico erano già state piuttosto ben esemplificate da Francesco Targhetta, nel suo Vite Potenziali; Magini, a questa descrizione, aggiunge una gran dose di maschilismo tossico, soprattutto da parte di Raffaele, e soprattutto fa emergere il nocciolo di ogni social network: il contatto narcisistico. Su idea di Fabio, che è profondamente solo, ma non vuole esserlo, eppure al contempo è terrorizzato che qualcuno lo veda, i due decidono di creare un app di incontri, Comeetr. La particolarità di Comeetr sta nel fatto che è possibile unicamente guardare i profili degli altri individui, senza mai poterci veramente interagire. Da una parte quindi ci sta il narcisismo di mettersi in mostra, alla ricerca di un contatto, di un rapporto, dall’altra, il tenere a distanza gli altri, evitando quindi di essere feriti, di essere vulnerabili. Praticamente il social network manifesto della generazione di Raffaele e Fabio.
La descrizione delle crisi e dei tempi interessanti che porta avanti Magini, facendo rispecchiare il pubblico nel privato e viceversa, raggiunge il suo apice con l’epilogo e l’arrivo della cometa. Il passaggio delle comete è visto spesso come presagio di tempi nefasti, o, comunque, dell’avvento di importanti cambiamenti, ed è proprio quello che accade in questa storia. È interessante come in un libro che per quasi tutta la sua lunghezza si è mantenuto sui binari di una narrazione realista (seppur contaminata dalle bugie di Raffaele), la conclusione appaia quasi al limite della fantascienza, se non proprio apocalittico. Questo cambiamento di registro serve a Magini per riuscire a portare a compimento il percorso non solo di Raffaele e Fabio, ma dell’intera realtà che stanno vivendo, che poi d’altronde è la nostra. Tempi interessanti richiedono conclusioni interessanti.
Negli ultimi anni, la narrativa italiana si sta confrontando con l’idea della crisi e del crollo, inglobandola all’interno di storie d’amore, come Il XXI secolo di Zardi, o l’orrore esistenziale e cosmico di Funetta ne Il grido, interrogandosi sul tipo di società che potrà venirne fuori, se potrà venirne fuori, come La festa nera di Bellocchio o quella utopia distopica in Miden di Raimo. Magini, a questo panorama piuttosto in fermento, ricco di spunti (eppure sorprendentemente coerente), aggiunge il suo racconto intimista e globale, che alla fine ci lascia sperduti e impauriti, davanti a un cielo stellato sterminato, che non è mai apparso così vuoto.