Milano scopre e si innamora di Grisey, carismatico capofila della musica “spettrale” che ha fatto cantare nientemeno che le pulsar, stelle celesti collassate milioni di anni fa
Che fai tu, pulsar, in ciel? Più che altro rumore, costante e regolarissimo. È questo che sedusse Gerard Grisey quando sentì il segnale della stella Vela dallo spazio più profondo e la scritturò come solista. A quel punto mancavano solo i sei percussionisti, da disporre ritualmente attorno al pubblico, tutti in attesa di un messaggio del terzo tipo da una stella di neutroni – anzi due, la seconda ha un nome che sembra numero di telefono: 0359 + 54. Nasce così Le Noir de l’Étoile, con ben due incursioni di palpiti celesti che Milano Musica ha pensato di trasmettere tra i lugubri palazzi di Anselm Kiefer – in realtà celesti anche loro. Così l’Hangar Bicocca si fa osservatorio, splendida cassa di risonanza per la metronomica voce di questi due orologi che pulsano nel nero.
E pensare che niente è più silenzioso dello spazio interstellare: sono i fisici ad aggiungere i suoni, per dare un po’ di forma ai segnali raccolti negli osservatori sparsi per il mondo. Del resto anche le onde gravitazionali le abbiamo “sentite”, lo scorso febbraio. Scienziati in festa e curiosi impegnati a capirci qualcosa mentre queste increspature del lenzuolo spaziotemporale finivano in prima pagina: un singulto si aggirava per il web, breve eco di una danza finita male tra due buchi neri collassati più di un miliardo di anni fa.
Invece protagonista in Le Noir de l’Étoile è una pulsar, compatta trottola di neutroni che si fa largo in concerto tra le membrane delle Percussions de Strasbourg. Quasi un tentativo di comunicazione inorganica, commovente, che negli anni sessanta venne scambiato per un messaggio alieno. E per due volte il pubblico si volta di scatto verso i sei percussionisti prima di capire che tutti sono immobili, anche loro in ascolto del battito cardiaco registrato su nastro di questa stella cavallina. Un’ombra sonora rarefatta che poi raggiunge impressionanti intensità, perché anche le stelle seguono dinamiche, crescendi e diminuendi.
Nel brano i suoni avanzano accortamente, misteriosamente. Umani o siderali che siano, sembrano proteggere la religiosa configurazione del pubblico come una seconda pelle: «Il suono è tattile», diceva Grisey. Sono oscillazioni che mimano la fisica stessa del suono, onde in transito, «pura sensazione del tempo che scorre». In un periodo in cui i compositori, da Stockhausen a Xenakis, confinavano il suono in rapporti aritmetici o stocastici, Grisey ne ha cercato la carne, senza mai fare a meno della fisica, ma lontano da tentazioni positiviste.
È un’esperienza che si addentra in regioni acustiche impensabili: quello di Grisey è uno spazio-suono, o forse un suono-tempo dalle coordinate intrecciate nella scrittura quanto nei sensi. Viaggio al termine del suono ma anche suono ritrovato, per fare i letterati. I precari palazzi di Kiefer, luttuosi totem senza tempo, sono testimoni silenziosi di una delle esperienze musicali più intense sentite a Milano negli ultimi anni. Peccato per il fischio di un generatore che l’Hangar Bicocca non è riuscito a domare: parafrasando Einstein, oltre che sottile il suono può essere malizioso. Un raffinato concerto da camera ha aperto la serata, in cui emergeva l’energico Impulse II di Luca Francesconi per violino, clarinetto e pianoforte – veri virtuosi Daniele Richiedei, Marco Danesi e Paolo Gorini.
Secondo appuntamento ipnotico con Les Percussions de Strasbourg ieri sera al Teatro dell’Elfo: Burning Bright di Hugues Dufourt. Altro mondo, più terreno e concreto: un universo parallelo davvero irriconoscibile rispetto a Le Noir de l’Étoile. Suggestive le luci e la scenografia di Enrico Bagnoli, che ha disposto i musicisti intorno a una vasca di acqua vibrante a ogni colpo di grancassa. E cadono gocce da una flebo invisibile disegnando circonferenze sul fondale, con la musica che infine si sposta letteralmente in acqua mentre in sala si stratifica questo Adagio per percussioni «alla maniera di Bruckner».
Immagini di Margherita Busacca