Nell’opera barocca di Häendel, in scena alla Scala, Bellezza e Piacere si scontrano in un bar-ristorante in stile art déco inventato da Jürgen Flim e Gudrun Hartmann. A dirigere, in questo luogo dell’eterna illusione, Diego Fasolis
«Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?»: chi non ricorda la celebre domanda della matrigna di Biancaneve al suo fido specchio?
Il cardinale Benedetto Pamphilij, a inizio Settecento, non poteva certo conoscere la fiaba resa celebre prima dai fratelli Grimm e poi da Walt Disney, eppure la prima aria del libretto dell’oratorio de Il trionfo del Tempo e del Disinganno (da lui scritto per essere musicato da Händel nel 1707) forse non starebbe così male in una fiaba. «Fido specchio, in te vagheggio lo splendor degl’anni miei», dice, infatti, Bellezza, una delle protagoniste dell’oratorio visto il 28 gennaio al Teatro alla Scala con la direzione di Diego Fasolis.
Coincidenze a parte (dettate probabilmente da simbologie universali quali la bellezza e lo specchio), l’aria prende subito un’altra strada: Bellezza è, infatti, consapevole fin da subito che «pur un dì mi cangerò … sempre bella non sarò», anche se questa consapevolezza non le impedisce di vivere un tormentato dramma, in cui dovrà scegliere se cedere alle lusinghe (effimere) di Piacere che le promette l’eterna giovinezza (con sottintesa perdizione dell’anima) o abbracciare il «vero piacer» spirituale che gli propongono Tempo e Disinganno.
Tale “favola barocca” si dipana al Teatro alla Scala in un allestimento realizzato da Jürgen Flim e Gudrun Hartmann originariamente per l’Opernhaus di Zurigo nel 2007 (e poi ripreso anche alla Staatsoper di Berlino nel 2012). L’allestimento acquista un pregio ulteriore grazie alla realizzazione musicale, affidata all’orchestra del Teatro alla Scala che suona su strumenti storici (con la collaborazione dei Barocchisti della RSI), diretta da Diego Fasolis; di alto livello anche il cast vocale, con Martina Janková (soprano, Bellezza), Lucia Cirillo (soprano, Piacere), Sara Mingardo (contralto, Disinganno) e Leonardo Cortellazzi (tenore, Tempo).
L’operazione è un riuscito tentativo di trasformare in opera qualcosa che, all’origine, non era stato pensato per le scene. Il trionfo del Tempo e del Disinganno nasce, infatti, a Roma nel 1707 all’interno dei concerti quaresimali con cui si dilettavano la nobiltà e l’alto clero romano in assenza della proibita stagione operistica: argomento edificante e niente scene, dunque, anche se la struttura dell’oratorio nonché la sua essenza musicale sono intrinsecamente operistici.
Interessante l’ambientazione dello spettacolo: un bar-ristorante (dove tutti bevono senza mai fermarsi dall’inizio alla fine) in stile art déco che richiama la celebre brasserie parigina La coupole; è l’idea di un luogo dorato, dove ci si può illudere che il mondo esterno non esista più, illusione che viene a poco poco corrosa dalla dura realtà che inevitabilmente, in vari modi, irrompe nella sala (una tempesta di neve che varca la soglia con alcuni clienti, la morte di un commensale…).
Inutile dire che la moraleggiante favola barocca si conclude con la sconfitta di Piacere a favore di Tempo e Disinganno: ecco allora Bellezza spogliarsi dei suoi beni (i suoi capelli, i suoi abiti) e abbracciare la nuda terra in abiti monacali, mentre il locale viene tristemente spogliato dai camerieri.
Abbandono del piacere, dunque: ma è proprio così? Sentendo la musica si direbbe proprio di no: il «leggiadro giovinetto» Händel (allora ventiduenne), infatti, ci fa godere dall’inizio alla fine, inanellando una serie di arie e momenti strumentali di rara bellezza, intensamente interpretati dai cantanti e dall’orchestra (citiamo almeno: «Un pensiero nemico di pace» (Piacere), «Crede l’uom ch’egli riposi» (Disinganno) «Io sperai trovar nel vero» (Bellezza), «Lascia la spina» (Piacere), che diventerà qualche anno dopo, nel Rinaldo, la celebre «Lascia ch’io pianga»).
E proprio nel momento del definitivo abbandono di ogni piacere materiale («Tu del ciel ministro eletto»), nella consacrazione finale, la bellezza della musica, ridotta alla sua più pura essenza, tocca uno dei suoi vertici ridonando, con un filo di voce, il trionfo al piacere.