Tutti all’Heartbreak Hotel, ma uno per volta

In Teatro

Collettivo snaporaz offre allo spettatore, in chiusura d’anno, un’esperienza esclusiva: venti minuti di immersione individuale di racconti e nefandezze…

Una regola non scritta ma che vale come legge vigente rende quasi obbligatorio nei pochi teatri aperti per le feste (una volta lo erano tutti, ma lasciamo stare la solita nostalgia) che si debba divertirsi, meglio se in modo non bieco ma superficiale e un poco televisivo. Ed ecco perché nelle sale milanesi aperte (poche, ripeto) va di moda il musical, ma con titoli ormai neppure vintage ma solo vecchi come Footloose al Nazionale (che la sera del 31 finisce una lunghissima serie di repliche) e La febbre del sabato sera al Nuovo.

In ricordo del film non cult di John Badham con John Travolta e vestizione da discoteca, questa edizione del musical che sta ottenendo contro ogni previsione (è stato assai rappresentato di recente) un ottimo successo, vanta (verbo inesatto) una regìa di Claudio Insegno che invece di aprire uno squarcio scorsesiano sull’ambiente di Brooklyn fa diventare le scene di interni di famiglia una specie di cabaret a siparietti folk mentre interviene in modo pesante sul testo per addolcirlo, togliendogli l’unica ragione di validità che potrebbe avere, la crisi dei giovani. Comunque in sala si ridacchia anche al Parenti con Rocco Papaleo in un suo cabaret, mentre l’Elfo ha riproposto un cult di Bruni e Frongia, quell’ Alice underground che ha dato il via anni fa allo stile video installazione con colori e magìe varie (e per i curiosi riveliamo che è uscito in DVD anche un’Alice strana americana del 33 con Field, Grant e Cooper…).

snaporaz-collettivo

Fra altre riprese come Novecento di Baricco, e il cafè chantant di Cannavacciuolo al Fontana che almeno prosegue una linea di condotta di cultura del varietà, la vera sorpresa è stata trovare al Teatro I dal 21 al 23 e dal 27 al 29 dicembre Heartbreak Hotel, un’installazione o qualcosa del genere, una performance per uno spettatore alla volta, di 20 minuti, con il Collettivo Snaporaz di cui piace già il nome felliniano.

Lo spettatore viene accompagnato in un interno angolo di hotel, siede su una poltrona scalcinata, tra cassetti aperti, roba per terra, carte tarocchi in bella vista con la Morte scheletrita, una tazza di caffè sporca e un telefono che squillerà e cui si dovrà rispondere, chi prima chi dopo. Voci off, ma che si simulano ampliate da radio, microfoni vari, racconta le storie horror della stanza 23, la cronaca delle nefandezze di un serial killer, qualcosa di molto noir tra Chandler e King. Usare l’aggettivo interessante è quasi offensivo per un lavoro così raffinato e non omologato che cambia ogni volta che arriva un nuovo ospite. Ci prendiamo il tempo per trovarne un altro, in attesa speriamo presto di poter tornare in questo hotel.

Heartbreak Hotel, teatro i

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