La sirena in apnea di Ibsen

In Teatro

“Hedda Gabler” in scena con Monica Faggiani disperata protagonista e la regìa di Cristina Pezzoli: una revisione del testo tra dramma e commedia riuscita a metà

Bocce d’acqua colme di fiori recisi, di candele, di pistole, di dolore. Lei, sirena, immerge le mani nell’acqua, si bagna il viso, ci infila la testa, quasi a farsi della stessa natura dell’odore di morte che aleggia nel suo appartamento di sposa novella.

È questa l’Hedda Gabler di Monica Faggiani e Cristina Pezzoli, una donna a cui manca l’ossigeno, soffocata dalle fantasie perverse di una mente tradita dalla vita, alla quale ormai è preclusa ogni forma di piacere, incapace di risvegliarsi persino nel sadismo degli atti che compie.

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La profonda ferita di Hedda Gabler, esplorata con sensibilità da Monica Faggiani, è la tensione su cui è costruito l’intero spettacolo: la voragine psicologica della Signora Tesman è un pericolo costante e tutti i personaggi rischiano di essere sedotti e inghiottiti dal canto malato di questa sirena.

Se le ragioni di Hedda Gabler sono ancora attuali e motivano questo recupero del classico ibseniano, la messa in scena si presenta a tratti fragile: gli attori, singolarmente apprezzabili, nell’insieme non riescono ad accordarsi, il rapporto tra scene drammatiche e scene leggere, pur indagato costantemente, risulta squilibrato, restituendo nell’insieme uno spettacolo dal ritmo discontinuo che inciampa su alcune note stonate.

La scelta di proporre un’Hedda Gabler adulta, assolutamente donna e non poco più che ragazza, presentando sulla scena un personaggio potente, consapevole della propria follia, non è sostenuta dal resto del cast, così l’interessante esperimento finisce per intrappolare l’attrice in un limbo dove una piccola ma onnipresente distanza tra sé e il ruolo rende troppo difficile il compito di sostenere l’intero dramma.

Il salotto di Paolo Calafiore è stropicciato, stretto, inospitale, non abbastanza bello per soddisfare l’incontentabile Hedda Gabler, e sebbene sia bagnato da giochi di luce suggestivi, non riesce a contribuire alla definizione stilistica dell’opera, così pure la casa pesa sugli attori.

Ibsen comunque resiste, anche grazie al fascino di Rosalina Neri, e alla fine il gruppo riesce a trascinare lo spettatore a lume di candela nei meandri più oscuri della propria psiche, in quel buio di passioni confuse, dove è arduo respirare e si vorrebbe solo sparare.

Hedda Gabler, di Henrik Ibsen, regia Cristina Pezzoli, in scena al Teatro Libero fino al 28 aprile

Foto: Andrea Finizio

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