Il “Ritratto del Duca” (di Wellington), che dà il titolo al film, è custodito nel celebre museo londinese: il protagonista (Jim Broadbent) lo ruba con i due figli maschi per finanziare le loro lotte contro le ingiustizie sociali. Eterno ragazzo, irritante e irresistibile, insieme alla consorte (Helen Mirren) si prende sulle spalle e rende divertente una storia assai bislacca. Ma assolutamente vera. Il bravo Roger Michell (“Notting Hill”) la dirige con brio, lasciando briglia sciolta ai due mattatori
Newcastle, 1961. Kempton Bunton (Jim Broadbent), protagonista di Il ritratto del Duca, ha sessant’anni, ma conserva intatto il cuore puro di un bambino, pronto a lottare contro ogni ingiustizia come una sorta di Robin Hood schierato sempre e comunque dalla parte dei più deboli. Così, quando non è impegnato a cercare un lavoro (che è destinato comunque a perdere il giorno dopo), le giornate le passa a raccogliere firme e inalberare cartelli contro il governo inglese e la BBC, rea di far pagare il canone tv anche ad anziani e veterani di guerra. Nel tempo libero, che per la verità non sembra poi molto, scrive drammi che indefessamente propone alla BBC medesima, senza ottenere alcun riscontro. Il tutto litigando quotidianamente con la moglie Dorothy (Helen Mirren), costretta a lavorare per due e inaridita dalla perdita della figlia primogenita in uno stupido incidente. Una perdita mal compensata dai due figli maschi, fin troppo propensi a seguire le orme paterne, fino all’evento che dà il titolo al film: il furto con destrezza, dalle sale incredibilmente incustodite della National Gallery di Londra, del ritratto del Duca di Wellington di Francisco Goya. Non per ricavarci vil denaro naturalmente, ma solo per ottenere l’attenzione del governo e dei media e raggranellare fondi per continuare la lotta contro le ingiustizie sociali.
Una storia bislacca, incredibile persino, quella di Il ritratto del Duca, ma assolutamente vera, messa in scena con garbo e brio da Roger Michell, regista di lungo corso (morto l’anno scorso, a soli 65 anni) che deve la sua fama quasi esclusivamente a una delle commedie romantiche di maggior successo degli anni Novanta, Notting Hill. La sceneggiatura è gradevole e strappa più di una risata, la ricostruzione d’epoca si rivela indubbiamente efficace, ma ciò che conferisce una spinta in più al film, trasformandolo in un delizioso piccolo gioiello è la performance dei due protagonisti: Jim Broadbent e Helen Mirren. Due grandi interpreti, sarebbe anche inutile specificarlo, che sanno calarsi alla perfezione nei rispettivi ruoli, non limitandosi al mestiere e neanche gigioneggiando a vanvera, come talora capita a certi attori con un grande avvenire dietro le spalle.
Il meraviglioso Broadbent, nei panni del bugiardo patologico seduttivo e irritante al tempo stesso, sempre a un passo dal disastro ma ogni volta (contro ogni previsione) capace di tenersi in equilibrio sull’orlo del baratro, è semplicemente irresistibile. Quanto a Helen Mirren, il suo personaggio di donna battagliera, calpestata dalla vita (e anche un po’ da quell’ingovernabile matto che si è presa in casa) ma mai schiacciata, in mano a un’altra attrice avrebbe potuto diventare una semplice macchietta che fa da spalla al mattatore: lei invece riesce a ricavarne un personaggio a tutto tondo, arguto e commovente. Il risultato è una commedia intelligente, a tratti effervescente, dal sapore gustosamente retrò, piacevolmente british.
Il ritratto del duca di Roger Michell, con Jim Broadbent, Helen Mirren, Fionn Whitehead, Matthew Goode, Aimee Kelly