Incerto, diviso, incapace di scartare dal proprio destino, Joachim Pasenow è il protagonista de “I sonnambuli” di Hermann Broch: un uomo che fuori dalla sua uniforme precipita nel dubbio della scelta. Trasgredire o conformarsi a un onore che non sente suo? Provocatorio, metaforico, ironico: un romanzo sulla disintegrazione di un sistema. Umano ed esasperato.
La trama de I Sonnambuli di Hermann Broch è quanto mai convenzionale nei romanzi mitteleuropei e russi della seconda metà dell’Ottocento: protagonista è un giovane Junker prussiano, Johachim Pasenow, incerto sul suo presente, che si fa trascinare dagli eventi, diviso tra l’amore per una seducente boema del demi-monde e una verginale fidanzata aristocratica, combattuto tra il continuare una carriera militare per cui non prova nessun interesse e ritornare alle terre avite per cui non prova nessuna affezione.
Ma non è tutto qui.
L’inconsistenza è in lui come nelle sue innamorate: la piccola prostituta che lui vuol far diventare cantante per darle una qualche rispettabilità, si fa trascinare senza nessuna passione; la bionda, algida fidanzata, segue la dolce volontà dei genitori in un quadretto elegiaco di felicità domestica, raffinata, cortese e vuota.
L’inconsistenza è nel padre, il convenzionale Junker sanguigno e dispotico; l’inconsistenza è nel suo comandante, è nella vita di città e in quella di campagna, nella vita tutta, nella Storia.
E questo guardarsi vivere senza mai partecipare, questo non riconoscersi in niente è lo straziante leitmotiv del romanzo.
Proprio come nell’opera di Wagner, ognuno dei temi che ricompaiono più o meno variati di atto in atto si intrecciano l’uno con l’altro, così si intrecciano anche gli elementi drammatici del testo.
Ma anziché un epilogo eroico come in Wagner, Broch torna al punto di partenza.
Senza senso, senza volontà.
Nelle Note ispirate dai sonnambuli, in calce al libro, Milan Kundera si chiede quali possibilità abbia l’uomo nella trappola che è diventata il mondo e mette a confronto Broch con Kafka e Hašek.
L’esercito del Buon soldato Sveijk di Hašek, allo stesso modo della giustizia di Kafka, non è che un’immensa istituzione burocratizzata, un esercito-amministrazione in cui le antiche virtù militari (il coraggio, l’astuzia, la destrezza) non servono più a niente.
Incontriamo Joachim Pasenow, il protagonista de I Sonnambuli, nella sua uniforme: quando la toglie e si veste in borghese non sa più chi è. L’uniforme è ciò che non scegliamo noi, ciò che ci viene assegnato; è la certezza dell’universale di fronte alla precarietà dell’individuale.
Quando i valori, un tempo così certi, sono messi in dubbio, chi non sa vivere senza di essi (senza fedeltà, senza famiglia, senza patria, senza disciplina, senza amore) si abbottona fino al collo nell’universalità della sua uniforme, come se quest’uniforme fosse il vestigio della trascendenza capace di proteggerlo dal freddo di un avvenire in cui non ci sarà più niente da rispettare.
In nome di un malcelato senso dell’onore, Joachim Pasenow abbandona la sicurezza dell’esercito, per prendere il posto del fratello maggiore, che ‘È caduto per l’onore’, come ripete ossessivamente il padre.
Non sapremo mai di che onore si tratta.
Risucchiato dalla tradizione, si sposa senza amore. Tutto è al suo posto.