Il grande trombettista (in quintetto con Petra Magoni) rilegge il Duca Bianco. Al Conservatorio di Milano in un eccezionale concerto-rivisitazione promosso da JazzMi che segue l’uscita nel 2021 del disco omonimo
Paolo Fresu che, alla Sala Verdi del Conservatorio, il 30 settembre, rende omaggio al Duca Bianco. E già. Alla fine, poteva farsi mancare David Bowie, l’artista sardo abituato a nutrire tromba e flicorno di ogni musica? Scorro affascinato e incredulo la sua abbondante attività discografica degli ultimi tempi – 24 titoli soltanto nel 2021, fra album a suo nome o in coabitazione e apparizioni da guest star, oltre 450 in tutta la carriera dei quali più di 90 da leader – e ci trovo un assortimento di tematiche, aromi e atmosfere da fare invidia. Da saziare più di un ascoltatore esigente e curioso.
Per dire, in questo 2021 ci sono state le ibridazioni liriche e sognanti, e a tratti mosse e vivaci, fra la Sardegna e il Sudamerica di Tango Macondo (con Daniele Di Bonaventura al bandoneon e Pierpaolo Vacca all’organetto e, in tre canzoni, Malika Ayane, Tosca e una strepitosa Elisa alla prese con tanghi assai celebri) e il divertimento tra nostalgia e un pizzico di follia di Popoff! (le canzoni dello Zecchino d’Oro cantate dalla superlativa Cristina Zavalloni e, con Fresu, Dino Rubino al pianoforte, Marco Bardoscia al contrabbasso, Cristiano Arcelli al sax soprano e alle ance e il Quartetto Alborada).
In questo 2021 in cui Fresu compariva fra gli altri accanto a Noa e al violinista polacco Adam Baldych, ai tedeschi del Triosence e al Coro delle Mondine di Novi, al giovane chitarrista bolognese Leo Meconi che Springsteen volle sul palco tredicenne a eseguire con lui Dancing in the dark e al cantautore venezuelan-genovese Cabruja, il trombettista di Berchidda ha compiuto sessant’anni e si è regalato un sontuoso cofanetto, una torta a tre strati intitolata Pa60lo Fr3su.
Dentro ci sono un disco molto amato del 2000, ormai irreperibile e rieditato (Heartland, con il pianista olandese Diederik Wissels, il vocalist belga David Linx, l’inarrivabile sezione ritmica scandinava di Palle Danielsson e Jon Christenssen e un quartetto d’archi), un inedito in trio (l’elegantissimo The sun on the sea dove il nostro, accanto al fidato Di Bonaventura e al violoncellista carioca Jacques Morelembaum compagno d’avventure di Caetano Veloso, Gilberto Gil e Tom Jobim, ma anche di Sting, David Byrne e Ryuichi Sakamoto, rilegge classici del samba e della bossa nova, Preghiera in gennaio di Fabrizio e Te recuerdo Amanda di Victor Jara). E un terzo inedito, Heroes, con un quintetto e una cantante. Il sottotitolo recita: Omaggio a David Bowie. Ecco, ci siamo. Tutto parte con una commissione del comune di Monsummano Terme, Pistoia, patria del poeta Giuseppe Giusti (“Vostra Eccellenza che mi sta in cagnesco”, ricordate?) che nel 1969 maltrattò David Bowie al suo primo approdo italiano (si era iscritto a un concorso canoro, arrivò soltanto secondo) e desidera rimediare. “Onorato ed emozionato”, parole sue, Fresu si mette all’opera radunando musicisti di estrazione non soltanto jazzistica: Gianluca Petrella al trombone (nel concerto al Conservatorio al suo posto c’è Filippo Vignato), Francesco Diodati alle chitarre elettrica e acustica (ed è un gran bel sentire, date retta), Francesco Ponticelli ai bassi e Christian Meyer alla batteria e alle percussioni. Al canto Petra Magoni, che dopo una lunga carriera di sofisticate magie con il duo Musica Nuda non ha bisogno di essere presentata.
Assieme, Fresu e compagni di viaggio passano al setaccio il repertorio del Duca e scelgono di rivisitare trenta canzoni: arrangiamenti abbastanza fedeli e riconoscibili da non scontentare i rockettari, e al tempo stesso sufficientemente impregnati di jazz da non tenere a distanza quelli che sì, il rock, va bene però, insomma…
Nove di queste canzoni (si va da Rebel rebel a Let’s dance, da Life on Mars a Space oddity, da Heroes a Time) finiscono nell’album del cofanetto triplo, mentre Heroes expanded, uscito qualche mese dopo, offre quattro brani in più (This is not America, Starman, Blackstar e Warszawa). Inutile aggiungere che le canzoni di Bowie sono state rodate dal vivo. Se andate al Conservatorio (in occasione della bella rassegna JazzMi), quindi, aspettatevi un gruppo di musicisti non soltanto bravi, ma anche affiatati.
E poi che c’è lui, Paolo Fresu. Che quando mette la sordina alla tromba dà i brividi. E che, dopo oltre quarant’anni di carriera, continua a non avere nessuna voglia di fermarsi. La nuova fatica, che uscirà il 7 ottobre, si intitola Ferlinghetti ed è la colonna sonora del docufilm The Beat Bomb che il regista Ferdinando Vicentini Orgnani ha dedicato a Lawrence Ferlinghetti. Poeta, pittore e attivista, e nel 1953 fondatore della mitica libreria (e casa editrice) City Lights a San Francisco, che vide l’esordio di Allen Ginsberg e di altri esponenti di primo piano delle beat generation.
Per la registrazione Fresu ha convocato due formazioni sempre più presenti nel proprio orizzonte musicale: il trio con Dino Rubino al pianoforte e Marco Bardoscia al contrabbasso, attivo dal 2018, anno del fortunato Tempo di Chet, e il duo con Daniele di Bonaventura al bandoneon. Le prime tracce si presentano liriche e meditative, sarà un piacere ascoltare l’album.
In copertina: Francesco Diodati, Filippo Vignati, Paolo Fresu, Petra Magoni, Francesco Ponticelli, Christian Meyer