Abbiamo visitato la grande mostra Hokusai, Hiroshige, Utamaro appena inaugurata a Palazzo Reale. Ecco la nostra guida all’esposizione, per scoprire cosa c’è all’origine della raffinatissima tradizione della grafica giapponese che da due secoli incanta l’Europa; e che faceva esclamare a Van Gogh: “tutto il mio lavoro si basa sulla giapponeseria”.
Girando per il labirinto delle sale di Palazzo Reale, a loro volta suddivise da un’infinità di pannelli, si è come risucchiati doucement, doucement in un mondo di delizie, e i pannelli, la folla dei turisti scompaiono. Come diceva la canzone: Questa stanza non ha più pareti, ma alberi, alberi infiniti e ammiriamo le vedute del Fuji, risaliamo i pendii scoscesi della Tokaido, ci fermiamo ad osservare le cascate o la fioritura dei ciliegi, ci aggiriamo nei frenetici quartieri di Edo, entriamo in una casa da tè.
Ma questo mondo, questo ukiyo, “mondo fluttuante” è esistito davvero? Come, a un certo punto verso la fine del Seicento in Giappone, nasce questa arte? Rispondere un po’ a queste domande e non restare solo confusamente deliziati, potrebbe aiutare anche a orientarci meglio in tanta bellezza. Il bel catalogo, edito da Skira, curato da Rossella Menegazzo è strumento indispensabile. E’ una strana storia che comincia verso la metà del ‘600 a Edo, l’attuale Tokyo. Lo shogun per controllare i daimyo, i potenti feudatari, pretende che risiedano ad anni alterni nel suo castello. Anche quando tornano nei loro possedimenti, devono lasciare in pegno mogli e figli. Un po’ come il Re Sole con Versailles e allo stesso modo la corte è fastosa. La città si sviluppa, i mercanti prosperano, i daimyo si sprovincializzano, gli artisti accorrono e nasce l’ukiyo, il mondo fluttuante.
Il termine nell’etica buddista significava l’attaccamento ai beni terreni che il saggio doveva fuggire, ma adesso acquista una connotazione tutta nuova: diventa un invito a lasciarsi andare al piacere, come un delicato fiore di pruno alla brezza della primavera. Anche i pittori francesi dell’ottocento che rifiutavano le regole accademiche venivano chiamati con disprezzo Impressionisti e loro se ne fecero un vanto, operando un simile ribaltamento di senso. E non è certo un caso che siano stati proprio gli Impressionisti a scoprire e a diffondere in occidente le stampe giapponesi. C’era il colore che costruiva la forma, il rifiuto della prospettiva, asimmetrie, audaci tagli, il movimento creato dalla linea e poi i soggetti: la città pulsante di attività, i paesaggi, gli attori e le oiran, le etère della “città senza notte”. La mostra di Palazzo Reale ci introduce in quel mondo.
Le stampe provengono tutte dall’Honolulu Museum of Art e il percorso espositivo è, come si diceva, un po’ confuso da tutti quei pannelli – ma d’altra parte le stampe sono più di duecento – e dalla scelta di un color carta da zucchero per le pareti con cornici e montaggi color crema; molto elegante, ma quel ton sur ton non fa risaltare i colori delle stampe; e poi è di gusto molto francese e molto poco giapponese. La mostra è suddivisa in cinque sezioni in cui vengono messi a confronto Katsushika Hokusai (1760 – 1849) e Utagawa Hiroshige ( 1797 – 1858) nei soggetti più tipici, come le vedute di luoghi celebri, di paesaggi inconsueti, di cascate, della pulsante vita cittadina, o le illustrazioni di romanzi popolari o i ritratti di attori e eroi. Tra cascatelle, ciliegi in fiore, voli di aquiloni, pini contorti si aprono le case da tè, si gioca a carte, si fa musica, si fa l’amore, si compongono poesie, si commercia, ci si ubriaca, si dipinge, si costruiscono case. Intellettuali, samurai, mercanti, monaci, cortigiane, operai, pescivendoli, tutti hanno un ruolo nella nuova visione del mondo.
Ma la grande protagonista è la natura; c’è un genere, il kachoga, in cui figurano solo fiori e uccelli in associazioni simboliche. «…e non è quasi una vera religione quella che ci insegnano questi giapponesi così semplici e che vivono nella natura come fossero essi stessi fiori?», scriveva Van Gogh al fratello Theo. Una sezione è dedicata alle bijn, le bellezze femminili, che occupano un posto speciale nel nostro immaginario. Rappresentano un archetipo di sensualità, di erotismo; il maestro indiscusso è Kitagawa Utamaro (1753 – 1806). Le fanciulle in fiore, come direbbe Proust, sono un incantevole equilibrio di grazia, eleganza e sensualità.
Hokusai Hiroshige Utamaro, Palazzo Reale, fino al 29 gennaio 2017
Immagine di copertina: Katsushika Hokusai, Il santuario Honganji di Asakusa a Edo, dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji (1830-1832 circa)