Cibo. La prima preoccupazione dell’uomo, quella più antica, quella legata all’urgenza del sopravvivere, quella che è la condizione di possibilità dello stare al mondo. Ma…
Cibo. La prima preoccupazione dell’uomo, quella più antica, quella legata all’urgenza del sopravvivere, quella che è la condizione di possibilità dello stare al mondo. Ma ora cos’è il cibo, come ci si offre, cosa rappresenta per noi? Questo è l’orizzonte di indagine in cui si muove la personale Toothpick dell’artista americano Christian Holstad (1972) presso gli spazi della galleria Massimo De Carlo.
Tre sale che stanno per un percorso verticale diretto verso una nitida rappresentazione estetica della società dei consumi. Fiumi di parole, pensieri, ansie sono state spese sul consumismo, su come ci vuole il capitalismo, su cosa bisognerebbe fare, sul perché ribellarsi. Ma è raro, tremendamente inconsueto, essere di fronte alla rappresentazione di un puro e semplice disagio, di uno star male percettivo ed emotivo rispetto a una congiuntura storica. Un percorso che si costruisce sussurrando allo spettatore “guarda cos’è davvero ciò che divori, pensa alla volgarità con cui ti aggiri attorno a quel oggetto di cui ti stai per ingozzare”. Un percorso in tre movimenti:
Sala 1. È il mondo domestico, così inquietante, familiare, fastidioso, stucchevole. Così piccolo borghese. Ciotole per cani, pentole e padelle, il disegno di una lavastoviglie, cornucopie funerarie. Un insieme che per un attimo fa paura, che per pochi secondi sconquassa il palato lasciando in bocca un sapore acidulo.
Sala 2. È la potenza della ceramica. Un materiale che sembra essere stato eletto dall’artista come la sostanza perfetta per veicolare una riflessione sul cibo. La ceramica fa brillare gli alimenti, è la patina perfetta per farli luccicare di un colore misterioso, li riempie di luce e di desiderio. La ceramica è la brama di possederli per metterli su un piedistallo. Ma questo piedistallo nella poetica di Holstad va a coincidere con un coperchio della pattumiera. E’ questo ultimo la cornice del quadro, lo sfondo dove tutto va a finire, che tutto ingloba. Consumiamo per sprecare. Plasmiamo il mondo per divorarlo e scagliarlo in un cestino. Poi c’è la pornografia intrinseca nell’atto del cibarsi. Un mangiare che cerca il piacere violento, istantaneo, che vuole l’eiaculazione immediata. Una dinamica simboleggiata da peni in erezione e genitali offerti come Cézanne offriva le sue nature morte.
Sala 3. È la conclusione racchiusa nel simbolo dell’uovo. «Un interno altamente nutritivo racchiuso in una forma fragilissima». Una forma che nel nostro oggi risponde alla legge della domanda e dell’offerta.
Un percorso tutto sommato sintetico e difficile che chiama il visitatore a un’attenzione propria solo delle grandi narrazioni simboliche. Un viaggio accompagnato da una progressiva presa di coscienza delle perversioni che abitano la quotidianità di ognuno. La grandezza della mostra sta in fin dei conti nel decostruire il proprio ambiente domestico per poter giungere a ripudiarlo.
Christian Holstad, Toothpick, Galleria Massimo De Carlo, fino al 26 marzo