In un cortile della periferia milanese, due panchine e tre ballatoi, il regista torinese Luca Valentino mette in scena un’opera del musicista scritta nel 1950 per la radio da Suso Cecchi d’Amico. E il pubblico applaude. Entusiasta
Allo scaligero medio sembrerà un affronto, e invece finalmente anche l’opera inizia a essere off, magari per incuriosire almeno un po’ chi ancora non sa di esserne dipendente, e si ritrova nel cortile di casa una deliziosa operina di Nino Rota: I due timidi, come è avvenuto sabato scorso a Milano. La bella iniziativa è dell’Associazione per MITO ONLUS, nell’ambito della rassegna ClassicAperta – ovviamente dell’opera off a Milano si occupa già da anni anche l’associazione VoceAllOpera, con i suoi originalissimi allestimenti allo SpazioTeatro89.
Il luogo scelto, forse anche per il bozzettismo intrinseco, è in zona Cimiano: il caseggiato tra via Cesana, via Palmanova e via Tarabella, una casona popolare della periferia milanese costruita nel dopoguerra, quando la periferia milanese ancora quasi non c’era. Demiurgo dell’operazione è il regista torinese Luca Valentino, direttore artistico ad Alessandria di un festival dal nome saviniano Scatola Sonora (“Festival internazionale di opera e teatro musicale di piccole dimensioni”), che è riuscito a mettere su uno spettacolino di gran classe con niente. Due cartelli e due panchine, tanto il resto della scenografia era già pronto: tre piani di ballatoi ideali per la cronaca di amori e illusioni di Raimondo e Mariuccia. Per non parlare delle comparse autoctone: signore in scena con la borsa della spesa, un po’ disorientate, davvero perfette che facessero parte dello spettacolo o meno.
L’opera di Rota è una vera chicca concepita per la radio nel 1950, e si avvale dello spiritoso libretto di Suso Cecchi D’Amico, che richiama tutti i cliché pucciniani per prenderli affettuosamente in giro. Così una storia d’amore molto Bohème ma senza tisi, quindi con tutte le premesse per risolversi nel migliore dei modi, viene compromessa da una persiana che cade in testa a Raimondo, uno dei passaggi più esilaranti del libretto (“la cinghia assassina della persiana avvolgibile s’è spezzata”), e che mette in moto una serie di malintesi che non si risolveranno. Tanto che i due, troppo timidi per chiarirsi, finiranno uno con la padrona della scalcagnata pensione che lo ospita, l’altra con il dottore che doveva occuparsi dei suoi svenimenti d’amore.
Insomma questa macchina teatrale alla Gianni Schicchi, diabolica ma con lieto fine che pare assicurato, si rivela in realtà piena di malinconica amarezza. E non sembra del tutto vero quanto scriveva Franco Abbiati per una ripresa bergamasca dell’opera nel ’72, che in partitura c’è “un’enfatica espansività” di vecchio stampo. Per quanto timidamente, ma meno dei suoi protagonisti, Rota riesce a osare, perché riadatta alla vita moderna e alienante schemi del passato che sembrano sproporzionati, sovrabbondanti, enfatici appunto, ma solo per finta. Quello che invece domina nell’opera è una cinica leggerezza, più donizettiana che rossiniana, capace di restituire il clima di un’epoca con precisione spietata e un po’ impertinente.
L’Orchestra del Conservatorio di Alessandria è stata diretta con energia e precisione da Marcello Rota, che solo per caso condivide il cognome con il compositore. Bravo il pianista Giovanni Manerba a doppiare gli struggimenti musicali della povera Mariuccia, che suona per non pensare al suo amato. Cast volenteroso ed entusiasta, dai giovani protagonisti Sumireko Inui e Dong Bin, all’attempata locandiera di Michela Guassotti, e ancora Lilia Gamberini, Cristina Mosca, Chen Beibei, Yang Liu, Luca Santoro, Riccardo Ristori, Roberto Romeo e Riccardo Munari. Tutti amplificati, per fortuna. Pubblico entusiasta.
Immagine di copertina © Elena Galimberti