Ispirato dal classico di Pirandello, Roberto Latini dà vita alle inquietudini fantastiche del testo di partenza: uno spettacolo complesso e immaginifico a Milano fino all’8 maggio
Roberto Latini non ha paura delle parole. Si confronta con Pirandello e con i suoi Giganti della montagna, mettendo in risalto quelle parole che, portatrici di verità, possono fare paura all’uomo e all’artista. Soprattutto a teatro.
Latini, in scena al Piccolo Teatro Studio fino a domenica 8 maggio, è regista e protagonista di questa sua interpretazione dell’opera incompiuta di Pirandello. Porta sul palco un teatro che non semplicemente è meta-teatrale, ma è teatro che riflette su se stesso. E spiazza, fa riflettere anche lo spettatore, che non può rimanere inerte, ma deve partecipare per poter patire.
Roberto Latini è tutti i personaggi e tutte le parole del testo, grazie a un lavoro maniacale e precisissimo sulla propria voce e sul corpo, e a una dissezione concettuale del linguaggio. Non è tuttavia meccanico, non è mai finto, perché, come i protagonisti di questa vicenda, inventa la verità, che fa “venir fuori dal segreto dei sensi, o, a seconda, le più spaventose, dalle caverne dell’istinto”.
La scena è quasi vuota, astratta, è solo rappresentazione che comunica il contenuto. È uno spazio immaginario e nullo quello della regia di Latini. La scenografia è iconica, rimanda, anch’essa attraverso le parole, agli oggetti di scena, risultando un tramite non immediato del significato che solo il testo può trasmettere.
Scelte musicali estremamente coerenti e azzeccate accompagnano la vocalità del protagonista, a tratti monologante, a tratti in dialogo con se stesso e con le diverse personalità dello spettacolo. Fino a giungere all’esplosione dell’aria donizettiana dell’Elisir d’amore “Una furtiva lagrima” che incornicia l’ingresso dei giganti. Aria che Donizetti aveva inserito nell’opera a giochi fatti, più per la sua bellezza che per la sua coerenza con la trama, e che, proprio per questo, fa intravedere a Nemorino una lacrima che non c’è sul viso dell’amata. Così anche qui, nell’interpretazione del testo pirandelliano, si riesce a vedere ciò che non c’è, ciò che l’uomo è, ma che non si vede.
Nei Giganti della montagna di Latini è importante vedere oltre, non vedere semplicemente. I giganti bisogna immaginarli, in noi. Perché di fronte a questa messa in scena, che non è maschera ma verità, “a noi basta immaginare, e subito le immagini si fanno vive da sé”.
(foto di Simone Cecchetto)