“Il maestro che promise il mare” della regista catalana Patricia Font riporta in primo piano, come ha fatto anche Almodovar, il dramma delle fosse comuni in cui molti oppositori del franchismo, uccisi senza processo, furono sepolti e nascosti alle famiglie. Oggi migliaia di corpi vengono ritrovati, ed è cercando i resti del bisnonno che Ariana si imbatte nella vicenda di Antoni. maestro di paese, fatto sparire dopo aver conquistato i suoi alunni con idee e metodi nuovi e affettuosi. Alternando gli anni Trenta del 900 e il 2010, il film riflette sul peso della memoria e i legami tra passato e presente
Chi ha apprezzato (io molto) Madres Paralelas, penultimo lungometraggio (2021) di Pedro Almodovar, ora fresco vincitore della Mostra di Venezia con La stanza accanto (sarà a inizio dicembre anche nei cinema italiani) può trovare in Il maestro che promise il mare della 45enne Patricia Font, regista di film e serie tv, candidato a cinque Goya (gli Oscar spagnoli), una sorta di continuazione del discorso storico. Li lega il dramma delle fosse comuni in cui l’esercito e il governo franchista, vincitori negli anni Trenta del Novecento della Guerra civile che insanguinò il paese facendo non meno di 600mila morti, fecero sparire gran parte dei loro oppositori. Che non erano morti combattendo, ma furono eliminati perché, militanti di partiti politici e movimenti anti-franchisti, subirono omicidi illegali e indichiarabili, senza alcun processo. E i loro corpi sono stati per decenni nascosti alle famiglie. Un tragedia nella tragedia sulla quale, come dicono i titoli di coda di questo nuovo film, si indaga da non molti anni, ma che ha già rivelato dimensioni spaventose: al momento sono stati riesumati 12-13mila corpi, molti dei quali in attesa di identificazione per le condizioni in cui li avevano lasciati i loro assassini e perché sono passati novant’anni. Nel complesso si sta scavando e indagando su e in centinaia di fosse comuni in tutta la Spagna.
Il maestro che promise il mare è un classico esempio di Storia raccontata attraverso le storie, che non sono solo costruite su relazioni familiari, costumi sociali, tradizioni culturali, ma vengono spesso, e quanto dolorosamente come in questo caso, attraversate e determinate dai grandi eventi della politica e della vita collettiva, nazionale. Qui il protagonista della vicenda (anche se a ricostruirne la vita e la scomparsa, ai giorni nostri, è la nipote di un suo allievo dell’epoca) è Antoni Benaiges (lo interpreta Enric Auquer), insegnante catalano che nel 1935 viene assegnato alla scuola di Bañuelos de Bureba, cittadina della provincia di Burgos, Spagna settentrionale, verso i Paesi Baschi.
I suoi metodi di insegnamento moderni, non convenzionali, e il fatto che non nasconda il proprio ateismo ne fanno un nemico del parroco e del sindaco, che avranno la loro crudele rivincita quando l’esercito franchista, occupando il paese, lo porterà in giro su un camioncino, sfigurato e destinato a una brutta fine in quanto sostenitore della repubblica sconfitta. I suoi piccoli alunni, dopo qualche diffidenza, finiscono per amare il suo comportamento affettuoso e gli esperimenti (i quaderni scritti e stampati insieme in classe, le lezioni senza cattedra), ma soprattutto aspettano il giorno in cui li porterà, come ha promesso, al mare, che nessuno di loro ha mai visto. Ma il simbolo delle loro speranze, quel sogno non si realizzerà.
Nella metà “attuale” del film vediamo invece Ariana (Laia Costa), nipote di Carlo, uno degli allievi di Antoni, che mentre assiste il nonno anziano, ormai muto e vicino a lasciare il mondo, s’interroga sul genitore di lui, che nel film si scoprirà amico del maestro tanto da convincerlo ad accettare in casa sua il figlio, bambino in difficoltà. Ricercando nel passato del nonno, il quale mai aveva voluto parlarle del suo passato, poco alla volta lei scopre che quei due vecchi amici scomparvero proprio mentre il franchismo trionfava. E arriva a una fossa comune dove il bisnonno è stato ritrovato. Mentre di Antoni, personaggio realmente esistito, sulla cui vicenda il film è costruito con qualche libertà narrativa, non c’era e non c’è tutt’ora alcuna traccia. Come probabilmente di migliaia di altri spagnoli che hanno avuto la stessa sorte.
In bilico tra documento e fiction (la figura di lei è immaginaria), passato e presente, strutturato sull’alternanza, a tratti forse anche un po’ troppo insistita, delle due epoche del racconto, Il maestro che promise il mare è certamente un omaggio a quegli insegnanti coraggiosi e alla forza della loro trasmissione del sapere, che non ha confini come il mare che i ragazzi vogliono vedere. Ma certamente è anche una riflessione sulla necessità della memoria. Fondamentale per conoscere da dove e da chi veniamo, per evitare di ripetere certi errori e soprattutto impedire il ritorno al potere di ideologie sanguinarie e fasciste del passato. Che qualche ascolto oggi sembrano averlo di nuovo. Così ha fatto bene il distributore italiano del film, le Officine Ubu, a organizzare proiezioni per gli studenti delle scuole secondarie, cui in primo luogo il messaggio di questo film va inviato.
Il maestro che promise il mare, di Patricia Font, con Enric Auquer, Laia Costa, Luisa Gavasa, Ramón Agirre, Gael Aparicio