I Parenti Terribili e l’incubo del sangue

In Teatro

All’Elfo Puccini fino al 12 gennaio Filippo Dini affronta Jean Cocteau alzando a dismisura i volumi, nonostante un cast di livello

Nessun posto è terribile come casa mia. Si potrebbe parafrasare nel modo più cupo il Mago di Oz, per cadere in uno spazio dove la favola si adombra a malapena, per pervertirsi in un agitato sonno cupo popolato da incubi e mostri. Se della prima rimangono i colori e l’immagine (stereotipata e soltanto di superficie) di un amore disperatamente assoluto come quello di certi principi, i Parenti Terribili portati in scena con la regia di Filippo Dini sono invece una commedia degli orrori che nascondono nelle relazioni di sangue.Il neo direttore artistico del Teatro Stabile del Veneto popola di strane figure ungulate la vita di una famiglia come tutte, tragica e grottesca come tante: la madre Yvonne e le sue nevrosi, il giovane e goffo Michel innamorato della affascinante Madleine, la pragmatica cognata Leonie, tenendo per sè il ruolo del padre di famiglia, che non potrebbe essere meno patriarca eppure del maschio patriarcale porta, confusamente, tutte le stimmate: Georges, innamorato – in una girandola sentimentale da vaudeville – della giovane che possa restituirgli l’età perduta e di una moglie rifiutata, forse persino di una cognata che sa quel che vuole. Il suo personaggio è un uomo che si lascia agire dalle proprie pulsioni e dalla lucidità delle donne, che facilmente leggono ciò che credeva di aver nascosto o si perdono in abissi ben più tragici di quelli meschini in cui lui annaspa.

Intorno a questa presenza più acuta assenza, rovesciando Bertolucci, si muove uno dei testi più noti di Jean Cocteau, che del suo teatro conserva la surrealtà che svela il ridicolo del teatro borghese, falso e spietato a un tempo. Forse per questo sceglie di darne una lettura tutta sopra le righe, dove gli intrecci sentimentali, gli odi e gli scontri si consumano a voce sempre più alta, come se l’aumento del volume servisse a nascondere le ferite della famiglia, retta – sembra suggerire Cocteau, per definizione, più dalla dipendenza e dal controllo – in definitiva dall’odio – che da qualche forma d’affetto. Si trama, segretamente ma alla luce del sole – nel labirinto distante disegnato da Maria Spazzi, a strapparsi anche senza saperlo a vicenda illusioni di felicità, ad agire una violenza che nel sogno prende la dimensione fisica che evoca la apparente sottigliezza di quella psicologica, altrettanto (se non più) distruttiva, capace di uccidere chi si scopra (come una madre realizzata per un attimo solo nel suo ruolo, quando possa accudire uno strazio comunque insopportabile) comunque rifiutata.

Questo rutilante aggrovigliarsi di relazioni (il padre con la fidanzata del figlio, la cognata con il fratello della propria sorella, sulla quale si adombra, a chiudere l’assurdo cerchio, persino un incesto) non è che una corsa a perdifiato, pare verso una sconfitta irrimediabile che in fondo non salva nessuno e che, però, in questa resa, resta quasi accidentale, di certo nascosta, come sempre devono essere i segreti delle famiglie “rispettabili”.
Se il drammone borghese può chiamare a sè, per il gusto di molti, una scelta interpretativa caricata che strappa alla platea risate di pancia in più punti, la regia di Dini sceglie qui una cifra che forse priva lo sviluppo drammaturgico del suo potenziale di verità, della tragicità profonda e senza speranza che le famiglie covano dentro di sè, e che sovente deflagra nel silenzio e nel sussurro.

A consentire a questi “Parenti terribili” di funzionare, ad ogni modo, è un cast di grande qualità, con due dediti giovani, Giulia Briata e Cosimo Grilli, a prender su di sè il pesante fardello e il drammatico esito di discendere da genitori inadeguati, ma soprattutto una Milvia Marigliano piena di verve, che conferisce a Leo, acume ed ironia, oltre ad un’agilità di movimento nei tempi comici tutta da gustare. Menzione d’onore a Mariangela Granelli, la cui mater dolorosa spicca però anche grazie alla possibilità di gestire momenti di temperatura scenica più misurata. Ecco cosa siete, pare dire Cocteau allo spettatore, nella vostra famiglia borghese che si vuole normale: una galleria di mostri disturbante proprio laddove la maschera, rendendosi più evidente, cade e si fa riconoscere.

Foto: © Serena Pea

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