Azzurro di Celentano o Rimini di De André? Beggars banquet dei Rolling o Give Em Enough Rope dei Clash? Entrambi roventi i due anni hanno segnato la seconda metà del secolo scorso non solo dal punto di vista sociale e politico. Le loro “colonne sonore” hanno alimentato il nostro immaginario. E voi con quale vi sentite più in sintonia? Leggete qua e scatenatevi sui social
È giusto, è normale, è quasi “fatale” che nel 2018 si parli del 1968, della sua importanza sociale e politica e della sua eredità musicale. Noi stessi di Cultweek lo abbiamo fatto con un bel racconto di Roberto Casalini dedicato ai dischi piu’ importanti usciti in quell’anno cruciale. Ma la storia dell’uomo è piena di ma, e il mio “ma” è basato su un pensiero storico legato a ricordi personali: ma… se dal punto di vista musicale il 1978 fosse in realtà meglio dell’anno della “rivoluzione culturale”?
Partiamo con il confronto, fermo restando che stiamo giocando e che alla fine ognuno si terrà le sue convinzioni. Iniziamo dalle classifiche di vendita di dischi in Italia, che all’epoca avevano un senso perché i vinili a 33 e 45 giri si vendevano ancora. Per capirci, per vincere il disco d’oro nel 2018 ci vogliono 25.000 copie vendute sotto forma di supporto fisico o streaming premium (cioè pagato). All’epoca (1968) ce ne volevano un milione, di copie.
Nel 1968 la classifica degli album vede in testa Mina alla bussola dal vivo, seguita da Patty Pravo e Fabrizio De André. Nei singoli domina Celentano con la eterna Azzurro, seguita da Patty Pravo con La bambola e Fausto Leali con Angeli Negri.
Dieci anni dopo nella classifica degli LP stravince la colonna sonora de La febbre del sabato sera con i Bee Gees a far ballare il mondo, seguiti da Antonello Venditti con Sotto il segno dei pesci e Francesco De Gregori con l’album omonimo. Nei 45 giri ancora i Bee Gees con Stayin alive, poi Kate Bush con Wunthering Heights e in terza posizione ancora Venditti sempre con Sotto il segno dei pesci.
Le charts insomma depongono più a favore del 1968, così come i vincitori della varie manifestazioni canore: Sergio Endrigo vince nel 1968 con Canzone per te mentre dieci anni dopo vincono i Matia Bazar con la trascurabile E dirsi ciao. Al Festivalbar invece domina il nazionalpopolare più spinto sia nel 68 (vince Adamo con Affida una lacrima al vento) che dieci anni dopo, quando ricevono il premio gli Alunni del sole con Liù. Meglio rimuovere.
Se proviamo invece ad andare oltre le classifiche e cerchiamo nelle produzioni discografiche italiane ed internazionali, ecco che le cose si fanno interessanti.
Nel 1968 la musica è la colonna sonora di un pensiero che si aggira per l’Europa e il mondo, ovvero la voglia di protestare contro l’assetto politico e sociale voluto dalla generazione che aveva vinto (o perso) la seconda guerra mondiale. I giovani scoprono di esistere e di poter proporre un modo di essere, di vivere, di vestire e di pensare. Anche una propria musica. Il 68 presenta capolavori assoluti come Beggars banquet, probabilmente il più bel disco in assoluto dei Rolling Stones, con dentro una rock song da strada come Street fighting man e un viaggio nell’africa più profonda e ambigua di Simpathy for the devil. Ma c’è anche la vera e propria incoronazione di Jimi Hendrix a re della chitarra, con album come Electric Ladyland e pezzi pazzeschi come la cover dylaniana di All along the watchover. E poi il doppio album bianco dei Beatles, i Pink Floyd ancora con Syd Barrett, Frank Zappa che prende in giro i Beatles e gli esordi di gente come Deep Purple, Genesis, Elton John, Joni Mitchell e altri ancora… un anno che prepara la colonizzazione del mondo da parte del rock. Chi ascoltava quella musica sperava anche di cambiarlo, il mondo, ma poi le cose non sono andate esattamente così.
E il 1978? Bello, con tanta energia e disincanto. Il punk l’anno prima aveva fatto piazza pulita di un sacco di “pesantezze” orchestrali e solistiche, per far tornare la musica qualcosa di primario, legata alla voglia, quasi alla necessità di esprimersi. Se hai qualcosa da raccontare o urlare, puoi farlo, anche se non sai suonare. Basso chitarra, batteria, ma anche un computer va bene.
La new wave stava nascendo, e l’anno successivo avrebbe confermato la sua forza. Erano anni duri dal punto di vista sociale, schiacciati fra il terrore brigatista (fu l’anno del sequestro Moro) e l’impasse di un paese diviso in due fra DC e PCI.
In Italia oltre ai già citati Venditti e De Gregori (con Lucio Dalla uscito nel 1977 con un disco bellissimo, Come è profondo il mare) vanno citati il secondo, fondamentale LP degli Skiantos, MONOtono, e Una donna per amico della premiata ditta Mogol – Battisti, oltre alla svalvolata partecipazione di Rino Gaetano a Sanremo con Gianna. Sempre per il nostro paese, non vanno dimenticati due nomi come Giorgio Gaber (Polli di allevamento) e Fabrizio De Andrè, che con Massimo Bubola scrive e incide Rimini, disco dolente e pieno di grazia e rabbia.
Ma è da Inghilterra e Stati Uniti che arrivano i suoni che fanno la differenza per quel 1978: basti pensare che dall’America arrivano cose come Easter di Patti Smith con dentro Because the night firmata con Springsteen, che nel frattempo butta lì un disco riflessivo e basilare come Darkness of the edge of town. Non basta, perché nel 1978 arriva dagli States il primo album di un gruppo capitanato da un chitarrista che sembra benedetto da Dylan e dal blues. E’ inglese, ma il successo gli parte da New York: è Mark Knopfler, che con i Dire Straits esce con il primo, luminosissimo album, appunto Dire Straits. A proposito di Bob Dylan poi, ricordiamo che in quell’anno pubblica Street legal e si fa tutto l’anno in tournée mondiale. Sempre dagli States vanno poi citati quei geniali svitati dei Devo con il loro primo LP (Q: Are We Not Men? A: We Are Devo!), i Talking Heads al secondo lavoro discografico (More Songs About Buildings and Food) e l’esordio dei Blondie.
In inghilterra si ragiona più intorno al punk: i Clash escono con Give Em Enough Rope, quasi metal in alcuni passaggi, ma è tutto il post punk che ribolle di energia e idee: Ian Dury, Boomtown rats, Buzzocks, Siouxie and the banshess, the Cure, Elvis Costello… tutta gente che comincia a seminare idee e a raccogliere consenso nelle mille occasioni live a Londra. E da lì escono anche tre ragazzi tinti di biondo con un nome non esattamente facile da portare in concerto: sono i Police del maestro elementare Gordon Sumner, in arte Sting, che escono con il primo, eccellente album Outlandos d’amour e spaccano con il reggae di Roxanne. A proposito di reggae, Bob Marley esce con un doppio dal vivo come Babylon by Bus, mentre gli Stones strizzano l’occhio alla disco e prendono in giro il punk e la new wave con Some Girls, disco ancora oggi notevole e autorevole. Vanno assolutamente citati poi quelli che già nel 1978 erano avanti: i Kraftwerk con la loro elettronica applicata – e in scia l’elettronica inglese dei vari Ultravox, Gary Numan e compagnia – i Residents con le loro sperimentazioni e Brian Eno, che prepara in quel periodo la base per cui diventerà il produttore più importante degli anni ottanta.
Tanta roba, insomma. E non sto qui a citare la disco elegante degli Chic o l’uscita di quel meccanismo perfetto che è Grease… Il 1978 mi sembra molto più vivace ed energetico del 1968: sarà perché nel 78 avevo 14 anni e tutto (o quasi) mi sembrava bello? Potrebbe. Ma giocate anche voi con noi e segnalateci sulla nostra pagina facebook la vostra preferenza. Io mi ritiro ad ascoltare Ian Dury, consapevole che arriva l’anniversario del 1979. Sono già felice solo a pensarlo.