Sonia, una Cenerentola al contrario

In Teatro

La Bergamasco si fa in cinque fra specchi e cellophane per raccontarci le drammatiche frivolezze del “Ballo” tratto dal famoso racconto di Irene Nèmirovsky

Il riscatto sociale nella scintillante Parigi degli anni pre-depressione e quello iato terribile tra l’età adulta e la giovinezza sono alcune delle questioni che lacerano – seppure in forma incisivamente elegante – gli animi dei protagonisti del Ballo, lo spettacolo teatrale ispirato al romanzo breve di Irène Némirovsky, ebrea d’origini ucraine e naturalizzata francese, uccisa dal tifo nel campo di concentramento di Auschwitz.

I cinque personaggi principali – la giovane Antoinette, i di lei arricchiti genitori, l’istitutrice Betty e un’odiosa cugina – rivivono in un unico corpo recitante: quello che appartiene a un’apprezzata interprete della scena contemporanea, Sonia Bergamasco.

Lo spettacolo, in scena al Teatro Franco Parenti, si apre su una scena di specchi avvolti da strati e strati di cellophane; il personaggio – anzi, i personaggi – si svegliano dal torpore di un divanetto e, a partire dalle suggestioni di Némirovsky, si preparano a spiccare il loro limitato volo di ambizioni negate, sussulti frenati e delusioni mondane. Il ballo ha ragione d’esistere – nella sua forma teatrale – esclusivamente al vigoroso talento di Bergamasco (anche ideatrice del racconto scenico): nei primi momenti dello spettacolo, che impiegano un po’ a carburare, è solo grazie a lei che si mantiene viva l’attenzione di un testo sicuramente più incisivo sulla carta che sul palco.

Superato lo scoglio iniziale, Bergamasco carpisce magistralmente il potenziale dei personaggi che racconta: frivolezze, paure e frustrazioni in seno a personaggi di nature eterogenee si incarnano in un unico corpo, declinato a più voci. La messinscena segue un ritmo tensivo e coinvolgente, soprattutto al centro del suo svolgimento, in cui da un lato è impossibile negare il talento impressionante della sua protagonista, dall’altro staccare l’attenzione dagli eventi narrati – come se ci si trovasse davanti a un film di montaggio.

L’attrice è dannatamente a suo agio con i registri drammatici e parimenti brillanti, alternando momenti intensi a parentesi francamente ilari in grado di strappare più d’una risata. Trae implosiva forza dagli specchi che sulla scena rimpolpano il pathos del racconto: sembra nata per intonare a più strofe i canti dei suoi compagni protagonisti.

Finisce, Il ballo, proprio quando vorresti non terminasse più; quando la sala luminosa di un ricco appartamento parigino rimane vuota dopo che gli inviti a una festa importante vengono stracciati per risentimento, quando un passato di stenti si ripresenta alla porta anche quando chi ha sofferto non ha più nessuna – apparente – colpa.

Il ballo, di Iréne Némirovsky, ideazione scenica e interpretazione di Sonia Begamasco, al Teatro Franco Parenti fino al 22 marzo

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