In questa edizione, vista al teatro sociale di Bergamo, della prima opera del trittico elisabettiano di Gaetano Donizetti, la regista Maria Pilar Pérez Aspa punta tutte le sue carte sulla rivalità tra le due donne. Vedi il sottotitolo ammiccante Eva contro Eva. Dirige con mestiere e sincerità Riccardo Frizza
Primo episodio del serial donizettiano sui Tudor, Il castello di Kenilworth recuperato dal festival di Bergamo colpisce più per quello che anticipa che per quello che è. Con le Bolene e Stuarde che verranno, e ancora di più con Roberto Devereux, Donizetti perfezionerà la tensione prorompente, la regalità in musica e soprattutto l’efficacia teatrale che in quest’opera lascia ancora un po’ a desiderare. Eppure è innegabile che questo primo approccio elisabettiano sveli già molti aspetti della fucina donizettiana: tanto delle maniere e della routine quanto delle intuizioni più fini. Ascoltare per credere, possibilmente dal vivo entro il 2 dicembre visto il cast impegnato in questi giorni al Sociale di Bergamo, magnifico teatro all’italiana di inizio Ottocento nascosto tra le vie della città alta, con un soffitto di travi in legno come in un veliero.
In realtà Il castello si può definire giovanile solo facendo qualche sconto a Donizetti, che a quel punto della carriera aveva già alle spalle due dozzine di titoli rappresentati e occupava a Napoli la stessa posizione di Rossini – merito del solito Barbaja. Ma manca ancora un anno all’Anna Bolena che separa – Ashbrook insegna e tutti giustamente seguono – la maturità di Donizetti da questi anni da quattro opere a stagione, che chiameremmo “di galera” se solo Verdi ce lo permettesse.
Il confronto al femminile raccontato nell’opera è tra Elisabetta e Amelia, ed è chiaramente amoroso. Oggetto della contesa è il conte di Leicester: la regina lo vorrebbe ma è già impegnato con l’altra che, per la sua incolumità, viene nascosta, o meglio imprigionata dallo scudiero Warney il quale, manco a dirlo, la ama non riamato. Insomma infelicità con molto desiderio, come al solito nell’opera italiana, che però si risolverà con uno sgangherato lieto fine imposto dalle circostanze del debutto – il galà «per il faustissimo giorno natalizio» della regina Maria Isabella di Borbone-Spagna –, che nulla ha a che spartire con la fonte del libretto di Tottola, il Kenilworth di Walter Scott, in cui lo scudiero uccide la povera Amy Robsart – pochi anni dopo Scott diventerà ovviamente fonte di Cammarano per Lucia di Lammermoor, che debutterà sempre a Napoli.
Nella versione in scena a Bergamo la regia di Maria Pilar Pérez Aspa vorrebbe mettere in evidenza la rivalità tra le due donne, anche se i momenti migliori dello spettacolo riguardano sicuramente ragioni e sentimenti dei singoli personaggi, con particolare attenzione alla recitazione delle due primedonne, Jessica Pratt e Carmela Remigio. Per questo non aggiunge granché il sottotitolo cinefilo Eva contro Eva, perché Donizetti stesso è al suo meglio in musicalissimi primi piani – per restare nel cinema –, nei movimenti di camera del corno inglese durante il rondò finale di Elisabetta o nell’armonica in anticipo sulla pazzia di Lucia nell’aria di Amelia, più che nel momento dello scontro, che si potrebbe definire trascurabile se non desse il via al meraviglioso finale a quattro voci del secondo atto.
Per il resto lo spettacolo è funzionale e scorre sulla pedana inclinata disegnata da Angelo Sala con qualche didascalia di troppo, come i tappeti per indicare ai personaggi una via che non c’è o la gabbia che nel finale imprigiona tutti quanti nei loro giri a vuoto – tranne Elisabetta, che resta in proscenio. Belli i costumi di Ursula Patzak.
Meglio la parte musicale, in particolare Riccardo Frizza, che in questa partitura sembra credere con una sincerità che percepirebbe chiunque, anche quegli ascoltatori che rischiano di annoiarsi a furia di convenienze teatrali e rossinismi musicali. E questo riesce a scuotere, incuriosire e appassionare, con un mestiere e un’autorevolezza che non ha bisogno di ricorrere alla retorica del capolavoro ritrovato. Ottime prove, com’era prevedibile, di Jessica Pratt e Carmela Remigio, anche se, a fare i pignoli, gli acuti della Pratt non sono sempre impeccabili e il temperamento in scena della Remigio rischia a volte di prevalere su quello in voce. Sicuro il Warney di Stefan Pop, come il Lambourne di Dario Russo e la Fanny di Federica Vitali, che è davvero dotata di un bel timbro. La rivelazione della serata è il Leicester di Xabier Anduaga, tenore di impressionante sicurezza e squillo.
Fotografie © Gianfranco Rota