“Il cliente”, ispirato a “Morte di un commesso viaggiatore”, racconta la drammatica svolta nelle vite degli attori Edam e Rana, impegnati a interpretare a Teheran il classico di Arthur Miller. L’aggressione subita dalla donna nella casa dove sta traslocando, avvia un meccanismo di paura e diffidenza nella coppia e nella compagnia. E il film sposa con maestria il thriller, il teatro e la vita oggi in Iran
Un’efficace progressione drammatica e un’eccellente compagnia d’attori sostengono, come nel recente Melbourne di Nima Javidi, un altro, atteso film iraniano in uscita ora in Italia, Il cliente, regia numero otto del 44enne Asghar Farhadi, Oscar nel 2012 al miglior film straniero per Una separazione, che aveva già vinto l’Orso d’Oro al festival di Berlino. Farhadi ha da sempre il grande pregio di unire le storie individuali, il racconto, anche dettagliato, della quotidianità, e i grandi temi che attraversano il suo interessantissimo paese, oggi in piena evoluzione. Debutta nel 2003 con il confronto generazionale di Dancing in the dust, premiato al Festival di Mosca, in A beautiful city l’anno dopo analizza (come nel successivo La separazione) il sistema giudiziario iraniano, vince a Locarno nel 2006 il Premio della Giuria con Fireworks Wednesday, storia di tre matrimoni e a Berlino l’Orso d’argento grazie a About Elly (2009), commedia che sposa toni drammatici, quasi da thriller.
Questo suo nuovo lavoro, liberamente ispirato a un grande classico che i protagonisti mettono in scena a Teheran, Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, è passato al Festival di Cannes ottenendo il premio per la miglior sceneggiatura e quello al miglior attore (Shahab Hosseini). Ed è in corsa per il prossimo oscar al miglior film straniero. Si struttura come un dramma quasi poliziesco, con al centro la misteriosa aggressione subita nella casa dove sta traslocando da Rana (Taraneh Alidoosti), evento che destabilizzerà il suo rapporto col marito e la recitazione, ma ha almeno altri due piani paralleli di lettura e di interesse certamente non meno centrali e significativi: innanzitutto il discorso sul teatro, perché il capolavoro di Miller funziona nel film quasi come sottotesto e la preparazione dell’impegnativo debutto corre parallela alla storia “reale” dei diversi caratteri, creando un intreccio inscindibile tra l’immedesimazione attoriale in scena e le “maschere” che in molti modi tutti indossano, anche ambiguamente, nella loro esistenza quotidiana.
Meno appariscente ma da tenere altrettanto d’occhio è la pittura d’ambiente sulle difficoltà della vita a Teheran, tema che apre energicamente il film quando vediamo la convulsa evacuazione dei coniugi Emad e Rana, costretti ad abbandonare il proprio appartamento a causa di un cedimento strutturale dell’edificio, al centro, anche visivamente di una scena di panico collettivo di grande efficacia psicologica e filmica. Costretti a trovare una nuova abitazione, riparano nella precaria casa prima abitata da una donna di dubbia reputazione e un giorno Rana, rimasta sola, apre la porta, certa che si tratti del marito, a uno dei vecchi clienti della donna, che l’aggredisce. Da quel momento Emad inizia una cercare l’uomo, ma non volendo coinvolgere la polizia le cose si complicano molto.
In Morte di un commesso viaggiatore (di cui c’è un’ottima versione cinematografica firmata da Volker Schloendorff e affidata alla coppia Dustin Hoffman-John Malkovich) Miller ha descritto con potenza drammatica ricca di sfumature evocative un momento di svolta nell’assetto sociale americano, attraverso le vicende familiari del suo protagonista. Analogamente Farhadi racconta il suo paese, in fase di trasformazione così rapida e definitiva da mettere in difficoltà chi non si adatta prontamente, nella storia di questa famiglia-comunità artistica. Così Emad e Rana, che all’inizio appaiono una coppia unita e coesa, nella vita e sulla scena, subiscono uno choc che mina i loro rapporti e ne modifica le loro coordinate esistenziali, insinuando in lei un senso di paura verso la vita che prima ignorava e in lui un desiderio di giustizia misto alla sgradevole sensazione di diffidenza per la moglie, che nasce dall’onore forse perduto.
Spettatori delle loro vite e insieme del “loro” Arthur Miller, noi occupiamo un posto speculare a quello che trovano i protagonisti nel film, vivendo una sensazione di singolare interattività sia nella ricerca della soluzione del giallo che nella partecipe curiosità sui destini di questa coppia destabilizzata, splendidamente interpretata da Hosseini e Alidoosti, in una compagnia di attori tutta di primo livello. E l’inquietudine che si annida sotto traccia nelle loro vite, non è in fondo così diversa dalle nostra incertezza di vivere, oggi.
Il cliente, film di Asghar Farhadi, con Shahab Hosseini, Taraneh Alidoosti, Babak Karimi, Farid Sajadi Hosseini, Mina Sadati.