La salvezza attraverso il tradimento. Il testo feroce del drammaturgo statunitense, ambientato nel Massachusetts del ‘500 ma connesso a una pagina oscura della storia novecentesca americana, viene oggi riletto dall’intelligente regia di Filippo Dini, anche protagonista. Uno spettacolo da vedere – da un’opera che in Italia viene raramente messa in scena
Arthur Miller, uno dei grandi drammaturghi americani del ‘900, non solo il marito di Marilyn, scrisse Il crogiuolo nel ‘53: andò in scena il 22 gennaio, quando già era alle stelle il successo di Morte di un commesso viaggiatore.
Il dramma, che fa riferimento alla leggenda di un gruppo di ragazze denunciate per stregoneria e impiccate alla fine del 1500 a Salem, nel Massachusetts, si riferiva nelle intenzioni dell’autore al fenomeno del maccartismo, che alla fine dei ’40 e inizi dei ’50 occupò il paese con una enorme caccia alle streghe che erano tutti coloro accusati di aver rapporti col partito comunista e di essere quindi contro lo stato americano. Il senatore Joseph McCarthy, passato tristemente alla storia, agì sul metodo della delazione, azionando lo spionaggio e il tradimento, anche di amici cari, come fu il caso di un grande regista – ma ahimè delatore – come Elia Kazan, che aveva messo in scena proprio il Commesso di Miller.
Il crogiuolo che ora lo Stabile di Torino, produttore insieme a quello di Napoli e Bolzano (si tratta di uno spettacolo dal ricco cast, come non se ne vedono spesso oggi) presenta in una bella edizione diretta e interpretata da Filippo Dini accanto a una giovane e talentuosa compagnia con Manuela Mandracchia in un doppio ruolo, aveva quindi allora molti chiari riferimenti per il pubblico. In America il maccartismo è stato infatti un momento perfido della Storia, ancora riconoscibile – ne parlano anche i Simpson.
Nello spettacolo, molto concitato (a volte troppo da curva Nord o Sud), si racconta non solo l’accusa di stregoneria ma anche la salvezza attraverso il tradimento, esattamente come accaduto durante i giorni oscuri di McCarthy.
Allora il maccartismo aveva regole precise e alla fine furono stilati elenchi di proscritti, di persone coinvolte in vario grado, mentre per la lista nera dei 10 di Hollywood non ci fu più nulla da fare, erano banditi dagli studios e dai teatri, come accadde al grande comico Zero Mostel, raccontato dal film di Ritt Il prestanome con Woody Allen.
Lo spettacolo, che nella seconda parte (in tutto sono tre ore e un quarto ma senza l’ombra della noia) acquista chiarezza e vigore, prima della tragedia personale del protagonista, è scritto benissimo e Dini l’ha fatto precedere e seguire, prefazione e postfazione, da due discorsi milleriani col senso dell’operazione, la diabolica antitesi che oggi ci obbliga a essere o Dio o Diavolo, da una parte o dall’altra, vax o no vax, pro Putin o contro, e la lista potrebbe continuare in un processo continuo di isteria collettiva che finisce per non ascoltare alcuna ragione con volteriana compostezza.
Credo che tra gli spettatori italiani oggi sia lontano il ricordo del processo alle streghe in cui i grandi divi di Hollywood furono i più reazionari, da Gary Cooper a John Wayne, mentre se la passarono male John Garfield, Humphrey Bogart e Lauren Bacall, Gene Kelly e Betsy Blair e quindi lo spettacolo venga preso come un invito a non essere estremisti calato in un montaggio da cinema horror – ma con una grande bandiera americana che nel finale si arrotola vinta sul proscenio.
Per chi volesse saperne di più, Lillian Hellman, compagna di Dashiel Hammett che andò interrogato in carcere, ha scritto un bellissimo libro sul tema (Pentimento e Il tempo dei furfanti, Adelphi), mentre Giuliana Muscio ha scritto per Feltrinelli una piccola e magistrale storia della Lista nera di Hollywood, che ebbe anche i suoi eroi, per esempio Kirk Douglas quando permise a Dalton Trumbo di firmare la sceneggiatura di Spartacus con il suo vero nome.
Comunque Il crogiuolo (in scena fino al 10 novembre allo Strehler a Milano, poi in tournèe) è uno spettacolo da vedere, anche perché raramente raggiunge le scene: da noi la versione storica fu quella di Luchino Visconti nel ’55, che aveva messo in scena anche il Commesso di Miller.
Il racconto delle 144 persone processate e 19 impiccate ha anche ispirato due film, Le vergini di Salem di Raymond Rouleau con Yves Montand e Simone Signoret e un altro, La seduzione del male, diretto da Nicholas Hytner con Daniel Day Lewis, genero dell’autore.
«In quel paese del Massachusetts – dice Filippo Dini regista attore – tutto iniziò da un paio di adolescenti accusate di maleficio, in realtà si tratta di quel misterioso momento in cui una bambina si muta in donna. Il testo, ancora e sempre così appassionante e travolgente, denuncia l’isteria fenomeno di massa, azionata dal terrore. Ogni impero del Male ha le sue priorità, ieri erano gli indiani, poi le sinistre, oggi gli stessi meccanismi di paura sono azionati per il Covid, la guerra in Ucraina, la crisi energetica. Ogni delirio collettivo e folle ci consuma la vita e ammala, oltre che l’aria e il cibo, anche la nostra anima».
Continua Dini: «Tutto a cavalcioni tra storia e leggenda: per Miller i personaggi sono creazioni sue ma nate da documenti storici. Certo la gente dice che non c’era momento migliore per affrontare un problema così, perché la storia di Salem, che inizia con due giovani che ne tradiscono poi altre, si allaccia al nostro presente. Durante il maccartismo Miller fu interrogato ma continuò a lavorare. La storia delle streghe uccise è, attraverso un testo ferocemente critico verso la delazione, chiara metafora della sua vicenda. Il processo dove aleggiano spiriti e sacerdotesse condanna quella che è oggi una psicosi sociale impastata di intolleranza e violenza».
Foto © Luigi De Palma