Sir William Hamilton, ambasciatore inglese a Napoli, ha un’ossessione per il Vesuvio. Sullo sfondo della Repubblica Partenopea annegata nel sangue della repressione, tra povertà follia e ferocia, Susan Sontag scolpisce il ritratto impietoso di un’aristocrazia bulimica e vuota, già avviata alla propria distruzione. All’ombra del vulcano, la vita consuma tutto e tutti, in una furibonda allegoria della necessità di trovare un senso alle cose.
Alla fine del Novecento, Susan Sontang, la filosofa e saggista newyorkese, scrive un romanzo storico, L’amante del vulcano (ora pubblicato da Nottetempo), incentrato sulla figura di Sir William Hamilton, ambasciatore inglese nella Napoli di fine Settecento, consigliere del re e coinvolto nella feroce repressione dei moti rivoluzionari, ma assai più famoso per la sua fascinosissima seconda moglie, Lady Emma, che trasformò da incantevole volgarotta mantenuta a musa di pittori e poeti, e per il triangolo amoroso con l’ammiraglio Horatio Nelson, l’eroe della battaglia del Nilo e di Trafalgar.
Nel romanzo della Sontang la figura del Cavaliere, come veniva chiamato Sir William Hamilton a Napoli, acquista spessore e attraverso di lui entriamo nei vicoli brulicanti di mendicanti, truffatori, fin nella corte del re, violento, ignorante, infantile come il suo popolo, scendiamo negli scavi di Pompei ed Ercolano, saliamo sulle scoscese pendici del Vulcano.
Il Cavaliere ha un aspetto segaligno, freddo, aristocratico, è figlio cadetto di un lord, quindi non ha una sterlina, ma è ‘fratello di latte’ del re d’Inghilterra, è abile nel destreggiarsi negli intrighi di corte e usa la sua grande cultura e il suo prestigio per accaparrarsi più o meno lecitamente preziosi manoscritti, quadri e soprattutto straordinari reperti archeologici etruschi, greci, latini che poi rivende al British Museum, a grandi collezionisti, così può mantenere il suo sontuoso tenore di vita, ma soprattutto può ricominciare a formare nuove collezioni, sempre più ricche, sempre più splendide. Tra le sue passioni di collezionista ce n’è una sola che è completamente disinteressata, ed quella per il Vulcano: il mitico, sulfureo Vesuvio, che esplora, studia, penetra, cataloga, di cui classifica minerali, fa raffigurare in preziose incisioni, quadri che dona in gran parte alla Royal Society, di cui è illustre membro.
La posizione della Sontang è quella del narratore onnisciente: tutto sa, tutto vede, penetra in tuguri e palazzi, tra intellettuali, aristocratici cinici e popolino della Napoli e della Londra tra fine Settecento e primo Ottocento, e scopre inquietanti analogie col nostro di mondo, con le lotte operaie, il potere, la criminalità, i sobborghi.
Come il cancro e l’AIDS di Malattia come metafora , il suo famoso saggio di quasi dieci anni prima, il Vesuvio è la metafora della vita e della Storia.
‘Alla bocca di un vulcano. Sì, bocca; e lingua di lava. Un corpo un mostruoso corpo vivente, maschio e femmina insieme. Emette, erutta. E’ un interno anche, un abisso. Qualcosa di vivo, che può morire. Qualcosa d’inerte che entra in agitazione, di tanto in tanto. Che esiste solo a intermittenza. Una minaccia costante. Se prevedibile, di solito non prevista. Capriccioso, indomabile, maleodorante. È questo che si intende per primitivo? Nevado de Ruiz, Saint Helens, La Soufrière, La Pelée, Krakatoa, Tambora. Il gigante assopito che si sveglia. Il gigante appesantito che rivolge a te la sua attenzione. King Kong’.
Susan Sontang dipinge a forti tinte un affresco realista, impietoso di quell’aristocrazia che di aristocratico non aveva nulla se non straordinari appetiti di carni, cibi, sesso, oggetti. Neanche capace di odio o amore vero. Una aristocrazia che massacra i rivoltosi con nonchalance, per mantenere i suoi privilegi, i suoi lussi, ma senza consapevolezza di agire brutalmente, né senza il piacere del sangue, del potere.
Negli ultimi capitoli, la Sontang passa dalla struttura del romanzo storico a dare voce in prima persona alle donne protagoniste di quella fetta di storia che racconta, ma non avvertiamo mai nei loro confronti una qualche empatia. Ascoltiamo la voce della devota, sensibile e scialba prima moglie di lord Hamilton; quella di Lady Emma la donna più bella e più brillante della sua epoca diventata già ai tempi della relazione con Nelson un donnone strabordante e grottesco e finita nella miseria più nera; quella della popolana madre di lei, furba e devota.
Solo quando alla fine fa parlare Eleonora de Fonseca Pimentel, l’aristocratica patriota impiccata dopo la repressione della Rivoluzione Napoletana del 1799, la Sontang finalmente getta la maschera e si svela:
‘Talvolta dovevo dimenticare di essere una donna per raggiungere il meglio di cui ero capace. Oppure mentivo a me stessa su quanto sia complicato essere donna. Così fan tutte, compresa l’autrice di questo libro. Ma non posso perdonare chi non si interessa ad altro che alla propria gloria o al proprio benessere. Pensavano di essere persone civili. Erano spregevoli. Che siano tutti maledetti’.