La grandezza, la solitudine, il mito, la caducità dell’essere umano: gresart 671 presenta a Bergamo una nuova mostra dedicata a Marina Abramović dal titolo between breath and fire, che indaga alcuni temi chiave che hanno contraddistinto la carriera cinquantennale dell’artista: il respiro, il corpo, la relazione con l’altro e la morte. Con al centro l’installazione cinematografica Seven Deaths dedicata a Maria Callas. E un talk che ha catturato il pubblico con il fascino magnetico di una delle figure più influenti dell’Arte Contemporanea e non solo.
Lo scorso 14 Settembre la performer Marina Abramović ha debuttato allo spazio espositivo gres art 671, il centro per l’arte e la cultura nato a Bergamo su iniziativa del Gruppo Italmobiliare con Fondazione Pesenti, con la grande mostra between breath and fire, dedicata ad alcuni dei macrotemi che hanno contraddistinto la sua opera negli anni. L’attesa per la star della performance internazionale è stata grande e cittadini e addetti ai lavori mal celavano l’aspettativa per questo evento che, dopo Yayoi Kusama a Palazzo della Ragione, ha visto a breve distanza di tempo una seconda artista donna e di caratura internazionale ospite dell’ultimo baluardo di quella che fu la Serenissima. Un’ospite che ha incantato il pubblico con una lezione di quasi un’ora sulla Storia dell’Arte del Novecento dedicata a tutti gli artisti che l’hanno ispirata, creando un momento davvero magnetico e catalizzante.
È raro assistere a una lezione del genere. Non tanto per la capacità di sintesi o esplicativa della “docente”, bensì per l’abilità di questa artista di calamitare l’attenzione del pubblico, da cui non si è sentito un solo colpo di tosse o penna cadere. La sala era affollatissima ma Abramović ha saputo gestire il momento con estrema professionalità: su un palco o circondata dalla gente Marina ci sa stare e, malgrado le più disparate dichiarazioni d’amore del pubblico, ha reagito con il garbo di una signora che non si lascia lusingare da certe slanci troppo ostentati.
Nessun divismo: questa artista da sempre lavora con la “Presenza”, concetto che il mezzo del suo linguaggio artistico sublima per eccellenza (vedi anche solo “Artist is Present”), e questo è stato percepito dalla platea di persone che ha assistito alla sua lezione, che in alcuni frangenti ha preso più le sembianze di una lezione di vita che di un excursus artistico.
L’aura spirituale che Marina ha lungamente indagato “the space in between – il film-resoconto del viaggio in Brasile in cui riflette sulle affinità tra performance artistiche e rituali – è esattamente ciò di cui si parla e di cui si fa esperienza stando in sua presenza. Non si vuol cedere alla mitizzazione di cui molti circondano questa artista ma non si può prescindere, affrontando il suo lavoro artistico, dalle ricerche esistenziali e spirituali di Marina Abramović, che ne aumentano la forza, il carisma e l’energia. Non basta vedere la opere per poter fare esperienza del suo lavoro. Sentirne il tono della voce, il timbro e l’assertività è forse la performance più potente a cui si possa assistere.
Qui, certo, si rischia di incappare nella celebrazione del Personaggio e non del lavoro artistico, rischio altissimo ma in cui è importante non cadere. Non mi soffermerò a raccontare delle opere storiche esposte. Chi rientra fra i fans di Marina già le conosce, e se così non fosse si dovrà prontamente provvedere.
Si può però dire che l’allestimento comunica una sensazione quasi sacra rispetto alle opere esposte al suo interno, fino ad arrivare alla stanza “cinema”, piccola e raccolta, dove è proiettata l’opera “Seven Deaths” che si configura come un’esperienza cinematografica immersiva basata su sette momenti di trapasso che Abramović presenta sullo schermo accompagnati da sette assoli di Maria Callas. Presentata la prima volta nel 2020 alla Staatsoper di Monaco di Baviera e replicata in diversi teatri in tutto il mondo, tra cui a Napoli nel 2022, l’opera, epica e decisamente post apocalittica, manifesta la fascinazione di Abramović per l’opera e per la Callas in particolare, una passione che risale alla sua adolescenza a Belgrado. Prima di accedere alla sala, fuori e dentro avvolta nel buio, dischi di alabastro retroilluminati, scolpiti con le fattezze dell’artista e di Willem Dafoe che ritroveremo anche nel film, scandiscono in sintesi, quasi come una via crucis, la dolorosa passione dei capitoli che si rifanno a Norma, Madama Butterfly, Otello, Carmen, Traviata e Lucia di Lammermoor con la morte di tutte le protagoniste. Lasciandoci, noi comuni mortali, carichi dell’esperienza e della poesia sprigionate dal suo fascino magnetico.
Marina Abramović, between breath and fire, gres art 671, Bergamo, fino al 16 febbraio 2025
In copertina: Marina Abramović, Dozing Consciousness, 1997/2002 © Marina Abramovic, Courtesy of Lisson Gallery and the Marina Abramovic Archives