L’ultimo romanzo di Maria Rosaria Petti, Il filo di Marianna, ha per protagonista una donna malconcia, malata, Marianna appunto, che si sforza di rintracciare il filo dei suoi ricordi per risvegliare dall’apatia la giovane Agnese, che si è rifugiata da lei perché non ha più nessuno al mondo.
L’ultimo romanzo di Maria Rosaria Petti, Il filo di Marianna, ha per protagonista una donna malconcia, malata, Marianna appunto, che si sforza di rintracciare il filo dei suoi ricordi per risvegliare dall’apatia la giovane Agnese, che si è rifugiata da lei perché non ha più nessuno al mondo.
Agnese è figlia di amici che si erano trasferiti in America anni prima e morti da poco. Le due donne non si erano mai viste prima, la più anziana era a malapena a conoscenza dell’esistenza della giovane, aveva rimosso tutto il suo passato troppo doloroso per rifugiarsi nell’Immaginazione.
«Questa compagnia non le era mai venuta meno nella vita, nell’adolescenza, nella maturità e nella maternità, nella vita di figlia e nella vita di moglie. Lei era sempre stata con una parte della sua testa nel mondo che avrebbe voluto, nel quadro che avrebbe voluto abitare, nel film che avrebbe voluto respirare, nel romanzo che avrebbe voluto ascoltare dalla voce del protagonista. E questa forma di schizofrenia onirica l’aveva sempre tenuta al riparo dalla disperazione e da qualunque cupezza».
Il racconto, come i ricordi di Marianna, procede a sbalzi e su molteplici piani. C’è il presente nella casa nella campagna romana, con la radio accesa che porta il mondo fra le mura domestiche: lo speaker annuncia lo sconcertante rifiuto del tribunale di Roma di fronte alla preghiera di morte di Pier Giorgio Welby; lo speaker annuncia l’esplosione, a Baghdad, di un’automobile carica di tritolo – a filmare la deflagrazione, una donna con il suo telefonino. Filmava in figlio che, dall’interno dell’abitacolo, la salutava raggiante. Lo speaker annuncia, lo speaker annuncia, lo speaker annuncia…
Intanto fuori infuria un temporale che sconquassa gli alberi e le imposte. Sembra l’Apocalisse. Sotto il diluvio arriva Nizar, l’amico-badante di Marianna, con la spesa. Avrà preso tutto? Intanto scende Agnese, pare una zombie. È a lei, a quella povera orfana smarrita, che Marianna deve delle spiegazioni, una ragione per vivere; è per aiutarla a uscire dallo sgomento in cui tanto si riconosce che deve far luce sulla nebulosa del passato, trovare il filo nella matassa aggrovigliata dei sentimenti, degli amori negati e smarriti.
Nella mente appannata di Marianna si materializza una data precisa.
«Struggente, mitico quel 1986, denso di emozioni. Difatti, quell’anno, questo clamoroso intasamento di storie difficili spezzò tutte le loro vite precedenti, la sua, quella di Gus, quella di Michi, di Lilli, dei loro figli, di tutti gli amici e le trasformò in vite diverse. D’ora in poi ognuno la sua. E per qualcuno la sua vita era troppa. La nostra sola vita può rivelarsi troppa se non puoi diluirla con le vite confinanti».
Marianna non ce l’aveva fatta ad affrontare il tragico mondo reale, era caduta in una depressione profonda quando, proprio in quel fatidico 1968, erano comparsi nella sua vita Ernest Miller Hemingway e Marguerite Yourcenar.
«I suoi Padrini letterari si palesarono senza preavviso nel suo salotto ancora in disordine e lei naturalmente pensò di avere delle allucinazioni».
Per metter a loro agio i suoi fantasmi, e anche per interrompere i loro battibecchi – hanno caratteri così diversi – Marianna, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, offre loro del tè . Mentre sorseggiano la bevanda calda, i due spettri chiedono a Marianna di raccontare loro la storia della sua vita. Lei non osa, è così insignificante, ma la Yourcenar la incalza: «Tutte le storie ci tornano utili. Sono il nostro pane. Ogni nome, come diceva Baiardo, è una Storia. Sta a noi illuminarla»
E, come Sherazade, Marianna comincia a raccontare. In una deriva rocambolesca in technicolor, Marianna ripercorre la sua vita affrontando i ricordi dolorosi e insieme ritrovando quelli pieni di gioia, i figli, gli amici, entrando e uscendo dalle trame dei film della sua adolescenza, come La Dalia Azzurra, La Signora Miniver, Orizzonte perduto, e dei romanzi. La fiction diventa terapia per il male di vivere, ma anche una trappola da cui Marianna non riesce a uscire e che le impedisce di vedere la realtà.
Nella mente della donna riemergono episodi dell’infanzia, i genitori, la scuola e, giù giù, sempre più in profondità, dall’ombra emergono i fantasmi del marito Gus, della coppia di amici Michi e Lilli, i genitori di Agnese, nata proprio nel 1986, l’anno della morte di Michi, l’anno del rapimento di Gus, l’anno in cui l’ha abbandonata. I fantasmi diventano persone in carne e ossa, e si muovono nel mondo reale, quello che deve imparare a percorrere la giovane Agnese.