Invitata al Conservatorio dalla Società del Quartetto, la giovane flautista in trio con la violinista Emmy Storms e il chitarrista Raphaël Feuillâtre ha dato vita a un programma ricchissimo: da Tollett a Vivaldi, da Bartók a Stravinsky, da Debussy a Piazzolla. Caloroso il gradimento del pubblico
Il flauto dolce, conosciuto ai più come “lo strumento che si studia a scuola”, può vantare tra i vari critici del suo uso in ambito didattico anche il compositore Ennio Morricone, che in una lettera del 2012 al quotidiano Il Messaggero scrisse di come a suo parere lo scarso amore per la musica da parte dei giovani in Italia nascerebbe in parte anche dall’uso del flauto come strumento principale di insegnamento.
Sia ben chiaro: la critica non era rivolta allo strumento in sé, quanto a certe sue imitazioni in plastica e al repertorio assai limitato che spesso gli è stato accostato, distante dalla ricchezza delle partiture scritte appositamente per esso. Ma a riscoprirne le qualità ci pensa da diversi anni proprio una giovane interprete, l’olandese Lucie Horsch (classe ’99), grazie alla quale ieri sera il pubblico milanese ha potuto godere di un prezioso e vivace concerto organizzato dalla Società del Quartetto.
Lucie Horsch (foto: DanaVanLeeuwen)
Horsch ha presentato nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano una serie di brani variegati non solo nel carattere ma anche nella collocazione temporale. Un vero e proprio “crossover” di musiche radicate nelle culture popolari di tutto il mondo trascritte per flauto dolce, con un programma che ha spaziato da Tollett a Vivaldi, da Bartók a Stravinsky, da Debussy (molto efficace Syrinx eseguito con il “flauto di voce”, voice flute) a Piazzolla. La scelta di questo ampio repertorio deriva dal lavoro compiuto col suo ultimo album, Origins (pubblicato nel 2022), importante poiché risulta essere il primo della sua carriera in cui ha potuto dar sfoggio delle le sue capacità creative, come l’improvvisazione e la creazione di arrangiamenti personali. Nell’album è curiosa e interessante la presenza di brani insoliti per lo strumento, tra cui Ornithology del sassofonista Charlie Parker (celebre standard del jazz americano del XX secolo) e due affascinanti improvvisazioni senegalesi in duo con la kora (arpa dell’Africa occidentale) di Bao Sissoko.
Nelle mani della ventiquatrenne Horsch il flauto dolce diventa oggetto d’alto virtuosismo che le consente di passare in scioltezza dal barocco, al folk, alla contemporanea. La vivacità e la freschezza di questa interprete (che tra l’altro è anche pianista e cantante) denotano una visione ampia della musica, riflesso della sua innata curiosità e della passione che sin da piccola la flautista metteva nell’ascolto di molti stili musicali diversi. A soli cinque anni ha iniziato a suonare il flauto dolce: un avvicinamento avvenuto naturalmente, forse con un pizzico di ribellione nei confronti della famiglia i cui membri sono tutti legati agli strumenti ad arco (genitori violoncellisti, fratello maggiore violinista). Horsch non ha tardato però a dimostrare che la sua è stata una scelta vincente: nel 2014 fu nominata per rappresentare i Paesi Bassi al concorso Eurovision Young Musician e nel 2016 vinse il prestigioso “Concertgebouw Young Talent Award”, alla presenza di Sir John Eliot Gardiner.
Da allora ha suonato nelle sale più prestigiose d’Europa, con il suo “armamentario” di almeno 50 flauti (ma ammette di non averli contati di recente), diversi per dimensioni e tipi, tra cui spicca un curioso strumento ricavato da un corno di capra proveniente dalla Corsica (regalo che definì speciale) e che mostra chiaramente il legame che l’artista ha con la musica popolare. Legame che anche ieri sera ha deciso di proporre inserendo nel programma brani della tradizione irlandese e serba, che ben mettevano in luce la versatilità timbrica dello strumento.
«Il nostro programma» spiega Lucie «è un mix di molti stili musicali diversi, ma cerchiamo di creare il maggior numero possibile di connessioni tra i brani, in modo che per l’ascoltatore sia un viaggio musicale che continua per tutta la serata. Il tema principale del concerto è la musica tradizionale e cerchiamo di costruire ponti musicali tra stili che possono sembrare molto diversi. Credo che non appena ci si addentri nel territorio della musica tradizionale, i confini nazionali scompaiano: mi sembra che ci sia un aspetto unificante in tutta la musica del programma».
Nell’esibizione Horsch è stata accompagnata egregiamente dalla violinista Emmy Storms e dal chitarrista Raphaël Feuillâtre, virtuosi del proprio strumento, che hanno permesso la realizzazione delle inedite trascrizioni create apposta per la particolare formazione.
L’energia del trio ha coinvolto il pubblico, che più di una volta ha accennato a voler partecipare al divertimento dei giovani musicisti sul palco, ostacolato dalla rigida etichetta delle nostre sale, pronta a censurare le partecipazioni inconsuete con un “sssttt”. Resta il fatto che i calorosi applausi fanno ben sperare su quanto desiderio ci sia di riscoprire ciò che, come giustamente osservava Morricone, viene spesso banalizzato ma che in realtà di banale ha ben poco. Lo stesso Morricone invitava il sistema italiano a copiare la Germania in cui «ogni famiglia suona Bach con il flauto dolce e il pianoforte o addirittura il clavicembalo, cantando e leggendo gli spartiti».
Prossimo appuntamento con la Società del Quartetto il 16 gennaio. La giapponese Mitsuko Uchida si confronterà con tre capolavori della letteratura pianistica: le Sonate op. 109, 110 e 111 di Beethoven, definite dal celebre direttore Hans von Bülow “il nuovo testamento del pianoforte”.
In copertina: Lucie Horsch (foto: DanaVanLeeuwen)