“il cielo brucia”, secondo film della trilogia degli elementi scritto e diretto del tedesco Christian Petzold, da principio è venato, un po’ a sorpresa per questo autore, da un sottile humour. Ma presto prende il sopravvento il clima opprimente creato dal giovane scrittore protagonista (ottimamente interpretato da Thomas Schubert) incapace di capire le dinamiche delle persone che gli stanno intorno. La pigra estate lo condurrà a un triste epilogo, che però è anche l’occasione di crescere
Una casa di vacanza nella foresta, a pochi chilometri dalle spiagge del Mar Baltico, i due amici Leon e Felix che vogliono trascorrere qualche settimana insieme lavorando e prendendo il sole, un’automobile che si ferma improvvisamente, le fronde che stormiscono al vento, presagio di cambiamenti che spazzano via la quiete. Inizia così l’ultimo film di Christian Petzold, Il cielo brucia, secondo della trilogia degli elementi iniziata con Undine, uscito nel 2020. Se lì era l’acqua il cardine intorno al quale l’amore si manifesta, in questo caso, è evidente, il fuoco è al centro dell’azione: come l’amore, incendia, e a volte distrugge. Ma a differenza di Undine e degli altri suoi lavori, Il cielo brucia è anche venato da un sottile humor che difficilmente immaginiamo di trovare in Petzold. Sbagliando, fra l’altro: all’anteprima a Milano organizzata da Wanted Cinema, il regista e sceneggiatore tedesco ha parlato del suo film rivelando grande ironia.
E Leon (interpretato magnificamente da Thomas Schubert), giovane scrittore alle prese col manoscritto del suo secondo libro, è il soggetto perfetto per creare situazioni divertenti. È arrogante, sprezzante, ma anche fisicamente goffo ed emotivamente infantile, incapace di percepire le dinamiche del mondo attorno a sé. Poiché il film, come tutti quelli di Petzold, è fatto di relazioni, questa sua incapacità permette di creare, almeno inizialmente, molti momenti comici. Nella casa di proprietà di Felix (Langston Uibel), i ragazzi trovano una terza incomoda, di cui la madre si è dimenticata di avvertire. È Nadja (Paula Beer, ormai una presenza costante nel cinema di Petzold), che ha trovato un lavoro come gelataia stagionale nella cittadina vicina. All’inizio la sua presenza è lasciata ai dettagli, tazze sporche, lavatrici che stanno concludendo il loro ciclo, ansimi amorosi nella notte. Poi Leon riesce a scorgerla dalla finestra mentre sta andando al lavoro, vestita di rosso, serena. Una serenità che è tutto il contrario dello stato d’animo di Leon, preoccupato che il suo libro, il cui titolo è Club Sandwich, non sia all’altezza del precedente.
Questa contrapposizione di animi, di frequenze emotive, è il perno attorno a cui ruota Il cielo brucia. Man mano che il film procede, pigramente come le giornate estive fra mosche e zanzare, procede anche la vocazione a fare il guastafeste di Leon e la limpida capacità di Nadja di svelarne ogni puerile intento. Il suo sguardo chiaro lo placca, lo lega. È facile capire come Leon si innamori della ragazza, con il risultato però di diventare sempre più noioso e petulante, come quando, durante un pranzo in giardino, non smette di deridere Devid (Enno Trebs), l’amante di Nadja, colpevole ai suoi occhi di essere un semplice bagnino. Grazie alla bravura di Schubert, Petzold indugia sulla scena, riuscendo a mostrare con leggerezza cosa vuole dire essere uno scocciatore, un astioso cazzone che si comporta come un bambino di cinque anni. Dall’alto della sua arroganza, Leon non si accorge di come sia fuori luogo ogni suo commento, come sia lui l’unico fra i quattro ragazzi attorno al tavolo a essere fuori posto. Incapace di lasciarsi andare alle emozioni, non si accorge di nulla. Perennemente imbronciato, non sa lasciarsi andare a un’estate che lo invita alla dolcezza, al calore, all’amore.
Ah, come fa male amare. Ottusamente, stupidamente si continua a far finta di niente, si evita il coinvolgimento con gli altri, con un mondo che ci spaventa anche se ci attrae. Proviamo a guardare l’incendio dei sentimenti da lontano, come fanno i quattro ragazzi dal tetto della casa, senza tener conto che quando la vita arde, non la si può fermare. Ed è vero, a volte l’amore brucia e distrugge, ma tenerlo a distanza è un esercizio altrettanto faticoso. Petzold mostra tutta questa fatica con leggerezza affettuosa, ma senza fare sconti. Il racconto, finora fatto di niente, sterza bruscamente con l’arrivo dell’editore di Leon (Matthias Brandt), che smuove le dinamiche fra i quattro ragazzi, mettendo involontariamente a nudo, complice il poeta Heine, le piccinerie del ragazzo e l’umanità di Nadja. E mentre l’incendio che sta devastando le foreste vicine minaccia anche la casa dei ragazzi, in Leon finalmente qualcosa si smuove. La cenere che la sera della cena con l’editore cade su di loro è un po’ la metafora delle sue sicurezze che vanno in fumo: il suo libro scadente, le sue chiusure emotive.
Serve un triste epilogo per farlo crescere, serve la fine dell’estate per rieducarlo alla vita.
Il cielo brucia di Christian Petzold con Thomas Schubert, Langston Uibel, Paula Beer, Enno Trebs, Matthias Brandt,