In un suggestivo cartellone ricco di interessanti proposte under 40, al Festival dei Due Mondi di Spoleto spicca il terzo atto della trilogia Cechoviana di Leonardo Lidi, un Giardino dei Ciliegi ricco di grandi interpreti e acute letture, che interroga lo spettatore sui suoi significati
Minimo comun denominatore nel cartellone di prosa del Festival di Spoleto 2024: l’età intorno ai 35 dei registi degli spettacoli, molti al debutto in prima nazionale, in anticipo rispetto ai tour della prossima stagione. La nuova generazione è stata al centro del progetto di Antonio Latella Uffa che barba! realizzata con l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico dove Giovanni Ortoleva è stato chiamato a dirigere Risveglio di primavera di Franz Wedekind e Federica Rosellini per una versione teatrale del film Freaks, ma anche Leonardo Manzan e Paolo Costantini. Ancora under 40 gli anni di Luca Marinelli alle prese con Kafka e di Liv Ferracchiati nel cimento con Mann e Visconti nell’attesissimo La Morte a Venezia. Under 40 è anche Leonardo Lidi che ora con Il giardino dei ciliegi va a chiudere la sua personalissima trilogia dedicata ad Anton Čechov realizzata nel corso di un intero triennio con un coeso gruppo di mirabili attori, più una famiglia di complici nel medesimo progetto che non una tradizionale compagnia teatrale.
Tre spettacoli in dialogo tra loro, Il gabbiano, Zio Vanja e Il giardino, con interpreti che cambiano di ruolo anche in modo contradditorio, con specifici ribaltamenti scenografici (la parete di Zio Vanja diventa ora il soffitto mobile dell’antica proprietà accanto agli alberi di amarene della Ranevskaja), con oggetti che assumono differenti valenze (le pistole che dalle mani di Vanja passano ora al Giardino), o con caratteristiche degli attori via via sempre più esasperate (come le goffe gag di Massimiliano Speziani). Un girotondo di particolari del tutto significativi che dopo la maratona spoletina, quando i 3 spettacoli sono stati proposti in scena nel corso della stessa giornata del 7 luglio, nella prossima stagione sarà possibile rivedere tutti in successione in un solo giorno a Bologna, Torino, Milano (e Perugia?). E sarà una bella sorpresa per tanti.
Perché attraverso Čechov lo sguardo di Lidi (e dei suoi interpreti) più che ricostruire le atmosfere di inizio ‘900 o indagare sul carattere di personaggi del passato, va a proporre e coinvolgere gli spettatori in un ragionamento comune sulla necessità e sul valore del teatro, sui modi e i perché del fare teatro, sul senso dello stare insieme collettivo in una sala ad ascoltare e guardare persone che (ri)vivono drammi piccoli o universali. Il giardino si apre alla maniera dei Sei personaggi pirandelliani con gli attori che entrano dal fondo sala accompagnati dalle note e dai versi di Ritornerai di Bruno Lauzi, dove il testo Ritornerai/e scoprirai/che nulla e’ cambiato/che sono restato/ l’illuso di sempre si pone se non come un manifesto d’intenti quanto meno come un viatico d’accesso. A cantarli è Lopachin, che ben presto diventa il baricentro dell’intera messa in scena, proposto non come l’approfittatore che scala i gradini della gerarchia sociale, quanto come l’unica figura in grado di leggere l’arrivo di un tempo di cambiamenti radicali. Perché è chiaro da subito che il Giardino di questo spettacolo non è l’insieme di piante che producono gustosi frutti rossi, ma è una metafora potente che allude e rimanda ad altre realtà e situazioni e ciascun spettatore è libero di scegliere un proprio più che legittimo riferimento.
Il rimando più immediato che Lidi sembra suggerire è al Teatro, alla situazione del teatro d’oggi, ma ogni altra lettura è più che ragionevole. Il teatro è ancora un medium portatore di valori? Culturali, sociali? Parla davvero ancora il teatro di parola? Ha ancora senso per registi e interpreti faticare per uno spettacolo e per lo spettatore uscire per andare a uno spettacolo? Cosa ha insegnato il lockdown? Tanto più nell’immediatezza di un tempo in cui con l’AI si potranno inventare storie vere, veritiere, plausibili, recitate dagli attori del passato, del presente o del tutto inventati, quelli che più ci aggradano e ci gratificano.
Quando Ljuba scende in una platea illuminata a giorno a chi si rivolge, a sé stessa o al pubblico? Quando si chiede “Cosa sarebbe stata la mia vita senza il Giardino? Questa è stata la mia casa, qui io ho vissuto” la battuta appartiene al personaggio o all’attrice? Sta al pubblico trovare una risposta. Può venir distratto dalle trovate paradossali e grottesche della regia, come la governante tedesca Charlotta trasformata in una drag queen da baraccone di fiera paesana, ma lo spettatore si trova obbligato a trovare una propria e personale collocazione coerente nella realtà che sta vivendo e soprattutto in quella che gli si prospetta a breve. Nel caos esistenziale soggettivo e globale, così ben riprodotto sul palco nella scena della coloratissima festa di inizio atto 3°, quando tutte le vicende personali dei personaggi e gli intrecci della trama trovano una collocazione e una soluzione.
E a tal proposito va dato merito a Lidi di aver enucleato così acutamente che in quelle poche pagine è concentrato per intero tutto l’intreccio del Il giardino dei ciliegi e che forse l’intera messa in scena potrebbe venir riassunta in quella singola e lunga sequenza scompaginata ma omologa al ballo del Gattopardo viscontiano, quando un’intera società danza sul ponte del Titanic. Del resto gli va dato merito di aver focalizzato che l’asta in cui il giardino verrà venduto è collocata da Čechov in agosto e che agosto è tempo di ferie al mare, dunque non è così grottesco far parlare i suoi personaggi a tempo perso sotto un ombrellone anche di temi filosofici. Ragionevole assurdità. Gli attori? Come si è detto: magnifici!!! (con almeno 3 punti esclamativi). Non li si cita solo per non far torto a nessuno, e perché il loro apporto va considerato all’interno del progetto della trilogia. Per ciascuno di loro è stata certamente una delle esperienze professionali più rilevanti nella propria carriera. Per noi spettatori un puro godimento ascoltarli recitare le battute mirabilmente tradotte da Fausto Malcovati e seguirli nelle azioni codificate e improvvisate.
Foto Gianluca Pantaleo