La realtà prismatica del desiderio nell’ultimo romanzo di Carlo D’Amicis, “Il gioco” (candidato allo Strega 2018)
In uno scritto del 1969, Definizione di territori: l’erotico (il sesso e il riso), contenuto in Una pietra sopra, Italo Calvino parla della sessualità in letteratura come di un linguaggio: «nello scrittore esplicitamente erotico potremmo riconoscere allora colui che attraverso i simboli del sesso cerca di far parlare qualcosa d’altro, e questo altro, oltrepassate una serie di definizioni che tendono a configurarsi in termini filosofici e religiosi, può essere ridefinito in ultima istanza un altro eros, un eros ultimo, fondamentale, mitico, inattingibile». Del linguaggio dell’erotismo si serve Carlo D’Amicis nel suo ultimo romanzo, Il gioco (Mondadori 2018, candidato al premio Strega), per indagare le complesse relazioni interpersonali del nostro presente e tratteggiare un’approfondita analisi del desiderio: se ne La battuta perfetta (2010) il problema centrale era come vivere in un mondo (l’Italia berlusconiana) in cui l’unica ricchezza consiste nel piacere di piacere, Il gioco prende forma intorno alle contraddizioni e ai paradossi che si moltiplicano quando si guarda al ruolo che assume il sesso nella vita degli uomini. Debitore (alla lontana, ma non troppo) del David Foster Wallace delle Brevi interviste con uomini schifosi, D’Amicis costruisce un trittico di lunghe interviste sulla triolagnia (da Wikipedia: «il comportamento per cui una persona, consapevolmente e volontariamente, induce la propria compagna o il proprio compagno a vivere esperienze sessuali con altre persone, allo scopo di riceverne gratificazione sessuale»), in cui il bull (l’amante), la sweet (la moglie) e il cuckold (il marito cornuto) raccontano rispettivamente la loro esperienza all’interno di questo particolarissimo trio sessuale. Le interviste sono composte seguendo principalmente le retoriche del paradosso: il desiderio erotico non è mai presentato come qualcosa di pacifico, facilmente definibile, ma è sempre ambiguo, inattingibile, sempre disponibile ma mai davvero appagabile, nasconde sempre significati ulteriori. Lo stesso tentativo di racchiudere la magmatica realtà del desiderio si scontra con l’impossibilità di poterlo rinchiudere in un vocabolario limitato, in una casistica o in una patologia: per questo spesso le frasi si presentano nelle forme dell’antinomia, dell’antitesi, delle domande che non trovano risposta e restano sospese nel vuoto della pagina e nel silenzio di un intervistatore che non risponde.
Il linguaggio della sessualità è utilizzato anche come bussola per sondare i territori del male (quello apparentemente insensato, che riduce una donna in fin di vita), della condizione sociale e di classe, del complicato, doloroso, rapporto fra genitori e figli, della solitudine esistenziale, dello scontro – per vie laterali – con la Storia. È inoltre usato in senso letterale per indagare un fenomeno – quello della triolagnia – diffuso eppure spesso ignorato o semplicisticamente derubricato a disturbo e guardato con disprezzo e vergogna.
Il primo macroscopico aspetto su cui si sofferma la narrazione è, naturalmente, quello del gioco: questi personaggi sembrano essere in grado di provare piacere, di soddisfare i propri desideri solamente attraverso la creazione di una forma di mediazione estrema e meticolosamente formalizzata che sappia dispiegare un universo ludico configurato come uno spazio altro, in cui la complessità del mondo è ridotta a un numero gestibile di regole:
Definire il sesso un gioco aiuta a sentirlo frivolo, lieve, a suo modo innocente. Ma non c’è gioco senza rischi, e quello che corre un libertino, ogni volta che, pensando di calarsi semplicemente le mutande, mette a nudo la propria anima, è un rischio infido.
Il gioco sessuale è presentato come una forma di sopravvivenza, un modo per aggirare il problema della comunicazione, la difficoltà nel trovare quel delicato equilibrio fra il dire e il tacere in grado di stabilire una forma di contatto con un essere umano. Da questo punto di vista il sesso è anche – forse soprattutto – un antidoto alla solitudine e alla noia, il libertinaggio una forma per evitare di cadere nelle trappole dell’amore:
Badi bene, signor scrittore, la mia non era soltanto una banale perversione. Né gusto della provocazione, o esibizionismo. No: l’erezione che puntavo verso quella platea, e in particolare sulle poltroncine da dove i coniugi Proietti sottostavano al mio gioco, esprimeva piuttosto un profondo bisogno di non sentirmi solo, una richiesta d’aiuto, o magari di complicità.
Il gioco sessuale è il modo attraverso il quale i tre personaggi svelano le proprie insicurezze, le proprie fragilità, i propri bisogni. È un gioco di specchi in cui viene riflesso il piacere di provare piacere e il piacere di provare piacere nel provare piacere e così via potenzialmente all’infinito, cosicché «il piacere era ovunque e mai davvero raggiungibile». Diventa un metodo di conoscenza e un principio di compensazione, un rituale sacro, forza esterna di fronte alla quale l’uomo resta inerme e forza interna attraverso la quale soggiogare l’altro. Il sesso è anche un rapporto di potere o meglio: uno strano rapporto fra sottomissione e potere:
Giorgio annunciò il senso che avrebbe avuto la parola libertà nel nostro rapporto: un senso totale e nello stesso tempo nullo. Sei libera di scopare con chi vuoi e quante volte vuoi, mi concesse.
Ma va da sé che la libertà non si concede. Nel farlo, Giorgio stabiliva che gli appartenevo – condizione necessaria a un patto scellerato che lo facesse sentire, nello stesso tempo, servo e padrone.
L’ambiguità della narrazione e il monologismo delle tre voci (spesso contraddittorie fra di loro, mai in grado di comunicare) impediscono la formazione di un giudizio chiaro sulla dinamica del trio, complicano la posizione della donna, della sua libertà; una linea sottile separa addomesticamento e ribellione, spesso ruoli reversibili e in ogni caso messi sotto la lente deformante del desiderio e dell’eccitazione. Il tentativo di ritrovare la propria umanità all’interno del gioco sessuale incontra facilmente il suo opposto nella ricaduta animalesca, nell’economicizzazione e nello sfruttamento: dono e merce si scoprono due facce della stessa medaglia e la complessità controllabile del gioco è destinata allo scacco di fronte alla complessità incontrollabile del mondo.
Nessuna soluzione viene offerta dalla narrazione anticlimatica di D’Amicis, tutto resta acutamente problematizzato, il desiderio offerto in tutta la sua realtà prismatica, e qui sta la grandezza della sua scrittura.