“Il mio capolavoro” dell’argentino Gastòn Duprat è una commedia nera che procede come un thriller e strappa molte risate con battute irriverenti e situazioni surreali. Al centro del racconto il rapporto di amicizia tra un ricco gallerista e un vecchio artista ubriacone, dal talento sfumato, che si ritrova in un letto d’ospedale. Sullo sfondo il variegato, assurdo mondo che ruota intorno al business della pittura
Arturo Silva (Guillermo Francella) e Renzo Nervi (Luis Brandoni), protagonisti di Il mio capolavoro di Gastòn Duprat, sono amici da sempre, nonostante siano persone diversissime. Arturo è un ricco gallerista di Buenos Aires, ben introdotto nell’ambiente dell’arte contemporanea e con un discreto fiuto per gli affari, in grado di assicurare soldi, e magari un pizzico di gloria. Renzo Nervi è un pittore una volta di successo ma ormai da anni caduto in disgrazia, un vecchio ubriacone dal carattere spaventoso e dal talento quasi del tutto esaurito. Pare impossibile, ma i due si vogliono davvero bene, e quando Renzo finirà in ospedale in fin di vita in seguito a un incidente, sarà proprio Arturo l’unico a precipitarsi al capezzale dell’amico.
Questo è solo l’incipit di una vicenda complicata e paradossale, piena di colpi di scena e di momenti di assurda comicità, che Arturo ci racconta andando a ritroso, a partire da una dichiarazione iniziale che dà immediatamente un’idea dell’atmosfera del film: «Vendo opere d’arte e il mio segreto è che sono un assassino». Una storia a tratti esilarante, dove si inserirà a un certo punto anche il giovane Alex (Raúl Arévalo), aspirante pittore di scarso talento ma dall’inossidabile tempra moralistica, pronto a tutto pur di assicurare il trionfo della verità e della trasparenza in un mondo che dell’opacità ha fatto la sua bandiera. Non è il caso di raccontare altro per non rovinare allo spettatore il gusto di seguire le tante spassose giravolte di questa sorprendente commedia nera, che procede come un thriller e strappa non poche risate, affastellando con splendida ironia battute irriverenti e situazioni surreali.
Gaston Duprat, con la complicità dell’amico e sodale Mariano Cohn – qui in veste soltanto di produttore – aveva già esplorato il mondo dell’arte contemporanea e i suoi paradossi nel suo primo lungometraggio, L’artista, uscito anche in Italia nel 2009 ma sostanzialmente passato inosservato. Nel ritornare sui suoi passi il regista argentino non rinuncia all’ironia, di cui aveva già dato ampia prova, ma aggiunge sentimenti ed emozioni. Il personaggio principale del suo primo film – un infermiere che si spaccia per artista, impossessandosi dei quadri di un vecchio pittore malato affidato alle sue cure – è in fondo una pura e semplice funzione narrativa, che serve a mettere alla berlina il variegato e assurdo mondo dei curatori di mostre e dei critici d’arte, e di collezionisti avidi e babbei arricchiti, pronti a tutto pur di mettere le mani su un manufatto che qualcuno – non si sa a che titolo – ha definito artistico.
Ma i due protagonisti de Il mio capolavoro non sono invece semplicemente due impostori che si arricchiscono grazie all’ambiguo statuto dell’arte e dell’artista all’interno del mondo contemporaneo: sono due personaggi a tutto tondo, capaci di conquistare la simpatia del pubblico. Perché questo, a ben guardare, è principalmente un buddy movie, la storia di un’amicizia lunga una vita sullo sfondo di una città e di un paese lontanissimi dall’Europa eppure incredibilmente vicini.
Un piccolo film dalla sceneggiatura impeccabile, messa in scena con garbo ed efficacia da una squadra di ottimi attori, con in prima fila Guillermo Francella (Il Clan, Il segreto dei suoi occhi) e Luis Brandoni, da noi sconosciuto ma assai popolare in Argentina, anche per la sua carriera politica nelle fila dell’Unione Civica Radicale.
Il mio capolavoro di Gastón Duprat, con Guillermo Francella, Luis Brandoni, Raúl Arévalo, Andrea Frigerio, María Soldi.