IL MISTERO DEL DESIDERIO, UNA FAVOLA Nera di provincia: SARà Ancora cult gay ?

In Cinema

Nell’”Uomo nel bosco” di Alain Guiraudie, nominato film dell’anno dalla rivista Cahiers du cinéma, c’è un faticoso ritorno a casa, che è un ritorno inconscio al passato. E molto presto abbiamo un morto, perché il racconto lega insieme vari generi tra cui il thriller. Tutti giocano a essere altri o doppi da sé, nascondendo la verità. Ma la verità è che ci vorrebbe un po’ più di misericordia (è il titolo originale) per tutti i peccatori, veniali e mortali. Cast magnifico, da Catherine Frot a Félix Kysyl a Jacques Develay

Il bosco richiama la favola, ma è una favola nera quella del più originale e non incasellabile dei registi francesi, Alain Guiraudie che si riconosce in Georges Bataille (“l’erotismo è l’approvazione della vita fin dentro la morte”) e che per il suo film, ora in uscita in Italia come L’uomo nel bosco, aveva scelto un titolo più appropriato, Miséricordie. L’autore è noto in Italia per Lo sconosciuto del lago, che divenne un cult film gay come è probabile sarà anche questo, ma certo l’obiettivo dell’autore è molto più vasto e si esprime sempre in modi non banali, lasciando intatto il mistero del desiderio. Anche nell’Uomo nel bosco, nominato miglior film dell’anno dalla rivista Cahiers du cinéma, ci sono molte relazioni ma quasi sempre passate, inespresse, edipiche, spesso irrealizzabili o incredibili: il prete, un uomo di taglia XXL.

C’è la voglia di indagare nel tumulto dell’inconscio, c’è il desiderio che spinge al thriller, c’è la voglia di rappresentare la solitudine della vita di provincia come nei film di Chabrol, e qui siamo in un paesino dell’Occitania di 97 abitanti, anzi anime, e anche in tumulto. E’ la storia di un faticoso ritorno a casa, quello di Jèrèmie che torna da Tolosa a Saint-Martial per il funerale del panettiere che gli aveva dato per primo lavoro da giovane, ed anche emozioni. Si ferma a consolare la vedova, facendo ingelosire il figlio, amico d’infanzia con cui è lecito pensare abbia giocato al dottore. Molto presto abbiamo un morto, perché il film lega insieme molti generi tra cui il thriller, ma sappiamo com’è andata, lo sa anche il curato di campagna che però non confessa ma sarà lui a farsi confessare.. Perché è un film in cui tutti giocano a essere altri o doppi da sé, nascondendo la verità anche sotto cestini di lussuriosi porcini raccolti, appunto, nel bosco.

Sono presenti nel film, il 13mo di Guiraudie, molti stimoli, non citazioni ma ricordi stilistici, da un Bresson meno algido al mistico folle Dumont: molto risalta la sensibilità, e la verità è che ci vorrebbe un po’ più di misericordia per tutti i peccatori, veniali e mortali. Scavando nell’intricato e spietato gioco dei rapporti umani, alla base c’è sempre, freudianamente, il sesso, a doppia mandata. E tutti cercano un alter ego, l’ospite non riesce a ripartire, la bella vedova travestita da mamma ha lo sguardo d’amante, il prete, un magnifico attore, Jacques Develay prevede un futuro orribile per l’umanità e inizia con aprire le lenzuola del proprio letto per lenire le ferite omologate di un mondo dove, dice, serve anche la malvagità.

Come in una fiaba che nel bosco racchiude i suoi segreti, il regista continua nella sua visione originale delle cose della vita (vedi anche L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice) e delle mutazioni impalpabili. E il ritorno inconscio del passato, in una cornice di psicologia filmica magnificamente personale, è reale ma con un continuo doppio fondo che sta altrove. Il cast è magnifico, da Catherine Frot, ex cameriera di Mitterand in un film, a Fèlix Kysyl che, come in Teorema di Pasolini, seduce tutti ma alla fine resta sempre irrealizzato. Dovrà accontentarsi del solito Freud. 

L’uomo nel bosco, di Alain Guiraudie, con Jacques Develay, Catherine Frot, Fèlix Kysyl, Jean-Baptiste Durand, David Ayala, Sébastien Faglain

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