“Trenque Lauquen” della 42enne regista argentina Laura Citarella, passato all’ultima Mostra di Venezia, è un appassionante gioco di incastri sentimentali. Un po’ fantasy e un po’ thriller, parte dalla fuga di una donna che due uomini, entrambi innamorati di lei cercano di ritrovare. E poi ci sono l’apparizione di una misteriosa creatura lacustre, l’indagine su un amore epistolare degli anni Sessanta, la relazione occulta tra la fuggitiva e una neurologa. Un cine-labirinto tra Borges, Antonioni e “Twin Peaks”, in una piccola città a 450 km da Buenos Aires, al confine con la pampa
Quattro ore abbondanti di racconto appassionato e in molte sequenze appassionante, divise in due parti abbastanza diverse e dodici capitoli, in cui presente e passato, vicende reali e forse fantastiche (o almeno in parte immaginate) si intrecciano, si alternano, si rimandano continuamente, sul filo di una storia sentimentale a più soggetti e più generi, che tocca il fantasy e quasi il thriller sullo sfondo di una piccola città argentina, Trenque Lauquen (alla lettera laguna rotonda) che da il titolo al film. E’ un progetto sicuramente lontano dall’usuale, nelle dimensioni e nel passo narrativo – e un’esperienza insolita per il pubblico, che forse per il format potrebbe avvicinarlo a Loro di Paolo Sorrentino o Nymphomaniac di Lars Von Trier anche se qui l’uscita nelle sale non è divisa – il nuovo lavoro della 42enne Laura Citarella, sceneggiato insieme alla sua protagonista Laura Paredes. Regista/produttrice di punta Nuovo Cinema Argentino grazie alla sua dinamica società indipendente El Pampero Cine, che ha realizzato un altro progetto di lunga durata, La flor di Mariano Llinás (2018, lunghezza 14 ore), Citarella insegna all’Universidad Nacional de La Plata e ha già al suo attivo almeno due titoli di notorietà internazionale, Ostende (2011) e La mujer de lor perros, girato insieme a Veronica Llinas e passato in vari festival come quest’ultimo, presente all’ultima Mostra di Venezia, sezione Orizzonti.
Siamo a 450km da Buenos Aires, al limite della pampa, la pianura quasi desertica dove Laura, ricercatrice botanica in corsa per una cattedra importante della capitale, scompare mentre cerca fiori e piante che dovrebbero servire a completare il suo lavoro accademico. La cercano il fidanzato ufficiale Rafael (Rafael Spregelburd), professore/mentore nonché aspirante coniuge, ed Ezequiel (Ezequiel Pierri, marito e partner artistico, nella vita reale, della regista), che la accompagna nelle sue ricerche naturalistiche ma soprattutto in qualche modo se ne innamora indagando con la donna su un singolare caso sentimental-epistolare dai risvolti erotici. Consultando dei volumi presi alla biblioteca della città, ricostruiscono, grazie a bigliettini nascosti nelle coste dei libri, una storia d’amore nata negli anni 50/60 che ha coinvolto una giovane maestra e un rampollo di ricca famiglia industriale di origine italiana. Laura vuole a tutti i costi sviscerarne i segreti, soprattutto la fine traumatica della relazione dopo la nascita di una figlia che mai la coppia condividerà. Intanto a Trenque tiene banco anche un piccolo caso di cronaca, che nella seconda parte del film diventerà fondamentale per i suoi personaggi. Da una laguna che sta nel mezzo della città viene recuperato un corpo, forse vivo o forse no, un bambino o un animaletto. Le informazioni date ai cittadini restano misteriose – il film stesso non lo mostra mai – tanto che gli oppositori del sindaco lo accusano d’essersi inventata una storia per distogliere l’attenzione dall’imminente speculazione che prosciugherà il lago, amato dalla cittadinanza, per favorire un affare di edilizia privata. E qui finisce la prima parte, quella diciamo sociale, “pubblica”, a più personaggi.
Perché l’atto secondo, che spiegherà (tutto in flashback, come l’intero film) la fuga della protagonista, lasciando un finale in qualche modo aperto nella stessa location dove inizia la narrazione, porta invece ancor più in primo piano Laura, e in un terreno narrativo contaminato più dal fantastico che dalla memoria, come nel caso degli amanti letterari. Soprattutto prende spazio la relazione affettiva con Elisa (Elisa Carricajo), neuroscienziata chiamata dalle autorità a identificare l’essere misterioso della laguna, che a un certo punto scompare anche lei, e in più di un momento appare reale e insieme in bilico con le forme e il terreno dell’immaginazione (e della mente di Laura). Che verrà ospitata nella casa fuori città, nella casa dove Elisa vive con la sua compagna, finché la polizia si accorgerà che le due donne hanno sottratto il misterioso essere (forse un piccolo caimano) per difenderlo dalla violenza degli umani. Da qui la loro definitiva fuga, anche da Laura. A completare il cast femminile prende spazio anche Juliana (Juliana Muras), giornalista in una radio locale dove Laura ha una rubrica, che “eredita” una sorta di confessione registrata della donna, diventando così una specie di Virgilio dantesco, capace almeno in parte di spiegare a Ezequiel (e agli spettatori) il senso di ciò che stanno vivendo e vedendo. Compito ingrato in verità, per le non sempre razionalmente spiegabili motivazioni degli attori/attrici della vicenda.
Per questo film si sono sprecati (in senso buono) paragoni di ogni genere, dal labirinto di Borges a Twin Peaks per l’atmosfera a tratti anche inquietante di mistero. Certo lo sorregge uno straordinario piacere della narrazione, di ascendenza letteraria nel complicato gioco di rimandi e matrioske in cui si sviluppa la trama, il che non ostacola quasi mai l’efficacia cinematografica del ritmo, del montaggio e la qualità delle sequenza, che usano davvero molti elementi del linguaggio filmico, dalle panoramiche lente ai piani sequenza nella prima parte al forte uso delle fonti sonore e del dialogo nella seconda. E se la prima parte, in cui il gusto per il mistero la fa da padrone, è anche quella più tesa, guidata dai due maschi e dal loro crescente risentimento verso una donna che si comporta sempre più come un essere in cerca della sua libertà (“io la vedo”, dice Citarella, “come un eroe dei fumetti, una specie di Tintin”), nella seconda dilaga, a tratti anche con un eccesso di lirismo, il lato femminile, forse “femminista”, emotivo, surreale, vagamente metafisico.
Se i libri, per usare le parole di Citarella, sono mappe cartografiche per vivere. Trenque Lauquen, propone forme di narrazione libera e imprevedibile, un’accumulazione di prospettive del racconto, testi, titoli e indizi che più che depistare suggeriscono linee di interpretazione possibili ma mai certe. E se c’è un poco di squilibrio tra il primo e il secondo atto, viene dallo straordinario impatto iniziale, per ammissione della regista un omaggio all’Antonioni dell’Avventura, in cui le carte si svelano sul tavolo lasciando aperte tante vie al racconto, mentre la seconda parte pare più mossa dell’ansia di spiegare, che a sua volta si arrende a un passo più convenzionale, in cerca di soluzioni narrative più adatte ad un racconto classico.
Affascina poi l’uso delle location, che rimandano ai luoghi reali dell’infanzia della regista, la cui famiglia viene da lì. Ovviamente Trenque Laukuen non ha nulla di documentario, ma questo non vuol dire che non ci siano legami con la città, la sua storia, la collocazione geografica, il modo di essere degli abitanti. “Penso che ogni film”, spiega ancora l’autrice, “sia basato su un mistero, ancor più sull’idea di mistero. E le piccole città sono piene di questi segreti perché tutti conoscono tutti, e le voci si diffondono subito. Ma il personaggio di Laura guarda a qualcosa a cui nessuno altro guarda, a dettagli che nessun altro nota. E dovunque guarda, trova mistero, racconto”.
Trenque Lauquen di Laura Citarella, con Laura Paredes, Ezequiel Pierri, Rafael Spregelburd, Cecilia Rainero, Juliana Muras, Elisa Carricajo, Verónica Llinás