“Il racconto dei racconti” è un kolossal fantasy di cast, dimensioni e professionalità hollywoodiane, sorretto però da una fantasia e una cultura europee
Eccolo qui, Il racconto dei racconti di Matteo Garrone, una delle pellicole più attese, presentata a Cannes in trio con Mia Madre di Nanni Moretti e Youth di Paolo Sorrentino. Garrone è indubbiamente uno dei nomi di punta del cinema italiano, che in questo caso ha deciso di imboccare il percorso della fiaba, a cui Hollywood attinge a piene mani, rispolverando il seicentesco Lo cunto de li cunti del napoletano Giambattista Basile, una delle raccolte di fiabe più antica d’Europa.
Da lì sceglie tre storie. E gli archetipi del Re, del Mago e dei Mostri, ritornano prepotentemente alla ribalta, a tinte fosche e quasi profetiche. Ogni racconto incarna un profondo desiderio umano: maternità, sessualità, paternità, indipendenza, giovinezza, tutti accomunati dagli ostacoli del possesso, e dell’invidia di non essere o di non avere ciò che si vorrebbe.
Una regina apparentemente sterile (Salma Hayek) chiede al marito una gravidanza e questi si sacrifica per uccidere un drago marino il cui cuore le assicurerebbe un figlio. Un re ossessionato dalle voglie carnali (Vincent Cassel) fa di tutto pur di giacere con una donna il cui canto lo ammalia, prima di scoprire che è in realtà è una vecchia. Un re annoiato (Toby Jones) decide, per passare il tempo, di nutrire una pulce fino a farla diventare gigante, e, una volta morta, come pretesto per non concedere la figlia in sposa, chiede ai pretendenti di che animale sia la pelle che estratto dal mega insetto defunto.
Gli espedienti magici e la sovrumanità, volti a garantirsi discendenza, bellezza, piacere e potere, sono però sempre puniti da un contrappasso impietoso che non lascia tregua alle vittime. E gli esiti spesso tragici, dal gusto macabro tipico delle fiabe popolari, si inseriscono visivamente in un mondo dipinto con precisione ed efficacia, ricco di effetti speciali e sostenuto da una silente atmosfera che, ammissione di Garrone stesso, può ricordare Il trono di spade per i toni arcani e magici propri del fantasy. L’intento di usare un materiale surreale con i toni del realismo riesce ottimamente: il senso di oppressione, disperazione, frustrazione che suscitano le immagini non è poi così lontano da quell’ineluttabilità già vista in Gomorra e Reality. Perché l’impianto un po’ onirico e immaginifico delle fiabe non attenua gli eventi truci, le perdite improvvise e le ineluttabili punizioni che incombono sui protagonisti.
Narrativamente il film procede per intersezioni che assemblano ciascuno dei tre racconti in un legame concettuale con gli altri, generando un impianto visivo che nulla ha da invidiare alle produzioni statunitensi per cast, costumi, fotografia, location. Bravissimi gli attori, Toby Jones in particolare, che arricchisce il suo ruolo di tratti comici per sovvertirli prima della disfatta. La musiche di Alexandre Desplat incalzano dal primo all’ultimo fotogramma e le scelte di Peter Suschitzky conferiscono alle inquadrature un tono epico. Ma il vero pregio di Il racconto dei racconti è fare affidamento su un testo che esprime bene quella magia, crudeltà e meraviglia che sono dietro ogni fiaba, rese pittoriche dalle scelte di Garrone, che va oltre i modelli di sceneggiatura collaudati, restituendo con gran forza all’inconscio l’originario senso arcaico. Forse è il caso che il cinema italiano finalmente creda nelle sue potenzialità. In una saggezza e una cultura che riposano nella prosa di un vecchio volume: mai dimenticate, tutte da riscoprire.