Federico Tiezzi, con maestria, dirige il testo di Schnitzler mettendo al centro della scena – e nei panni del decaduto seduttore – un grande Sandro Lombardi. Uno spettacolo intenso e coinvolgente
Non deve esistere, forse, schiaffo peggiore per un personaggio famoso che sentirsi apostrofare per la strada da un giovane, magari con un gran sorriso: “Mio nonno è un suo grande ammiratore!”. L’uomo celebre si incamminerà verso casa, un po’ scosso, guardandosi febbrilmente intorno per scoprire se qualcuno lo riconosce, e se chi si ferma a osservarlo lo fa in quel certo modo.
Nessuno di noi, infatti, guardando un uomo, vede lo stesso individuo. Qualcuno vede un vecchio, qualcuno una persona sola, qualcuno un maestro. Qualcun altro poi non vede nemmeno un uomo, ma un mito. E a quest’ultimo osservatore non importa che l’oggetto dei suoi sguardi possa cambiare, invecchiare, corrompersi e decadere, perché lui è convinto di saper andare oltre l’apparenza, fino a riconoscere il valore più puro e alto che quella persona riveste, il suo essere eccezionale, diverso dagli altri. Ma in realtà il mito è esso stesso l’apparenza suprema, e fa sì che un uomo diventi due persone distinte, negli occhi di chi lo guarda e anche nei propri.
E che spettacolo buffo è triste dev’essere vedere un vecchio mito che combatte per difendere e dimostrare la propria eccezionalità a chi non vede in lui altro che un uomo! Che lotta assurda eppure irrinunciabile quella di un essere umano che si sforza di non esistere per lasciare posto ad un’immagine, per vedere riflesso, anche nello sguardo di chi lo vede per ciò che è in realtà, quel sé stesso che non esiste!
Quando le luci si alzano su Il ritorno di Casanova, tratto dall’omonimo romanzo di Arthur Schnitzler, un vecchio signore attraversa ansimando la platea e va ad abbandonarsi su una delle due poltrone presenti in scena. Le prime parole che gli escono di bocca sono i versi di Recitativo veneziano, l’invocazione a Venezia che Andrea Zanzotto scrisse per il Casanova di Fellini. È lui, Giacomo Casanova, che ci sbatte in faccia la sua vergogna, “Cinquantatré anni!”, e ci tiene seduti a bocca aperta ad ascoltare la sua storia. Stanco e impoverito, in procinto di essere finalmente riammesso nella sua amata Venezia, Casanova si imbatte a Mantova in un vecchio amico che lo invita nella sua casa di campagna. Qui farà la conoscenza di due personaggi, Marcolina, una giovane colta e apparentemente fredda che, indifferente al suo nome famoso, non vede in lui altro che un vecchio e che gli farà perdere la testa; e Lorenzi, un giovane ufficiale, bello e seducente com’era stato lui, una sorta di nemesi con cui alla fine giungerà all’inevitabile confronto.
La regia di Federico Tiezzi inserisce il racconto di Schnitzler in un’aura primonovecentesca, un po’ Morte a Venezia, in un Settecento postbellico (il romanzo è del 1918) sostenuto con essenziale delicatezza dalle luci di Gianni Pollini e dall’accompagnamento musicale di Omar Cecchi, Niccolò Chisci e Dagmar Bathmann. Un racconto, nient’altro. La forma prima, il vero cuore dell’arte teatrale, di cui ormai pochi teatranti si accontentano, credendolo insufficiente. Uno spettacolo che ci porta via, facendoci ridere, sulle orme di questo anziano signore, questo avventuriero invecchiato che vuole tornare a casa. Quanto all’interprete, l’unica lode che gli si può offrire, sfuggendo alle tentazioni di creare miti, è questa: Sandro Lombardi è un attore. Non c’è titolo più alto che un vero artista del palcoscenico possa desiderare. Il suo Casanova è animato da un’ingenuità sognante, un’eccitazione da bimbo. E noi, sì, stiamo dalla sua parte, abbiamo tenerezza per lui. Anche se dietro a quell’insicurezza timida possiamo intravedere talora quei vecchi che, in tutti gli ambiti della società, non vogliono smettere di credersi Casanova e restano aggrappati a quel nome a scapito dei giovani, costretti a vendere loro persino la dignità. Perché Casanova è Casanova, e pur di rinunciarci si insozzi il mondo e ogni cosa bella. E se Casanova è diventato ripugnante e corrotto allora tutto diventi tale, e anche l’innocenza sia colpevole. E poi vedremo se questa gioventù umiliata, ridotta alle peggiori meschinità per un lavoro, un po’ di sicurezza, per un giorno in più sulla terra (o, peggio, per credersi Casanova) avrà mai più il coraggio di gridare: Morte al tiranno!
Il ritorno di Casanova, di Arthur Schnitzler, al Piccolo Teatro fino al 29 maggio