Whitney Houston canta in ologramma, gli Abba si affidano ai loro avatar. Gli inediti post-mortem dei big, vedi David Bowie, non si contano. Dove sta andando il rock? Dovremo aspettarci i Beatles live che cantano Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band ? Una riflessione
Il Futuro è un ipotesi, cantava tanti anni fa Enrico Ruggeri quando ancora portava gli occhiali.
Ma in questo caso non ci riferiamo al nostro futuro, ma al futuro del rock. Quello solido, storico, granitico che affonda le sue radici negli anni sessanta e settanta.
Non è un problema di energia o di motivazioni: motivi per stare incazzati i giovani rocker di tutto il mondo ne hanno eccome, e quindi band capaci di essere trasgressive e potenti ce ne sono e ce ne saranno sempre.
Il problema è geriatrico: se fate due calcoli vi renderete conto che tutti i padri fondatori del rock hanno passato i settanta anni di età, e inevitabilmente il tempo che passa non li mette naturalmente al riparo dalla loro dipartita da questa vita terrena.
L’ultimo lutto è quello legato al grande Charlie Watts, batterista ottantenne degli eterni Rolling Stones. Ma Mick Jagger e Keith Richards ne hanno 78, non molti meno del compianto dandy della batteria.
E’ vero, Mick sul palco sembra l’infermiere/badante di una vecchia signora vestita in maniera eccentrica che suona la chitarra (Keith), ma come cantavano loro stessi “Time waits for no one”, quella americana in corso potrebbe davvero essere la loro ultima tournée. A meno che – e non possiamo escluderlo – decidano di morire on stage, per chiudere in “bellezza” (sic) la loro carriera e confermare infine il loro patto con il diavolo.
Per non parlare della situazione clinica del povero Phil Collins, che quando ha detto sì al nuovo tour dei Genesis stava ancora benino, ma poi causa Covid i tempi si sono dilatati e il suo stato di salute è precipitato. Chi ha visto le immagini del tour ha avuto una stretta al cuore, e non solo perché Collins deve stare sempre seduto, ma per la voce che è davvero quella di un uomo in difficoltà. Comunque Phil ha già detto che a fine tour a dicembre si ritira definitivamente, e che Banks e Rutheford facciano come credono… ovviamente tutti noi vecchi fans speriamo che rientri Peter Gabriel, ma l’ipotesi sembra completamente irreale.
Ma in sé l’imbiancamento e il deperimento di Stones, Who, Genesis, Deep Purple e compagnia invecchiante non sarebbe un problema: la loro musica, quella che ha fatto la storia, resta incisa e determina con chiarezza il loro posto nella storia e nella fantasia di milioni di fans in tutto il mondo. Se poi loro non ci saranno più, dispiacerà, ma in ogni caso sarà finita una parte della storia, non certo la loro arte.
E qui sta l’errore, e il problema.
Perché secondo voi tanti artisti stanno vendendo tutto il loro catalogo e i loro diritti relativi ad editori e affaristi vari? Solo per garantirsi l’ennesimo zero in più sul conto in banca a favore dei nipoti? Non solo.
L’artista ormai è come il maiale, di cui come è noto non si butta via niente. Ma il problema è cosa succederà in futuro.
Per esempio, ci sono artisti che restano in vita anche dopo la loro scomparsa con pezzi inediti che – chissà come mai – avevano tenuto ben nascosti nei cassetti dei loro studi. Basti pensare al “nuovo” brano di David Bowie, tratto da una serie di registrazioni che il duca bianco ha fatto nel 2001 per comporre un album, Toy, che non uscì mai per disaccordi con la sua etichetta dell’epoca. Il pezzo è anche piacevole ed è una cover di sé stesso, dato che lo pubblicò nel 1965 a nome Davy Jones. Ma artisticamente non può aggiungere nulla. Si chiama business, mercato. Ma anche a questo ci siamo abituati.
Ci siamo anche abituati ad andare a vedere spettacoli live (prima della pandemia ovviamente) in cui ci sono gli ologrammi di artisti morti che…cantano dal vivo, con la band effettivamente live che suona e la voce ovviamente registrata dell’ei fu, peraltro per niente immobile. Whitney Houston, Amy Winehouse e altre povere anime sono così costrette a non rimanere in pace nemmeno da decedute, dopo la vita tutt’altro che facile che hanno fatto.
Ma il futuro ci riserva ipotesi a dir poco inquietanti: come gli amanti del trash sanno, si sono da poco riformati gli Abba, che sono anche andati in studio per un disco nuovo e di cui sono già usciti due nuovi singoli che personalmente mi hanno confermato perché gli Abba non mi sono mai piaciuti (i gusti sono gusti).
Ma non è questa la notizia, bensì il fatto che gli Abba stanno lavorando al loro prossimo appuntamento live a Londra. Gli Abba sono ormai degli attempati signori ultrasessantenni, e al posto loro sul palco ci saranno dei loro avatar creati e supervisionati direttamente dai quattro musicisti svedesi.
Infatti gli Abba (quelli veri) hanno fatto una specie di concerto con addosso i sensori collegati a vari computer. Nel frattempo sono stati ripresi da speciali telecamere per riprodurre al meglio i movimenti on stage. Insomma, sul palco a Londra dal 27 maggio ci saranno gli Abba virtuali, ma reali perché controllati e voluti dai membri originali.
Quindi il futuro potrebbe essere quello indicato dal gruppo svedese: da vivi i grandi dinosauri della musica creano la loro eternità riproducendosi come dei personaggi da videogiochi, per fare concerti live sempre uguali, sempre perfetti, sempre senza una goccia di sudore.
Non è come vedere un dvd a casa: sono concerti live finti, dove viene voglia di sperare che uno dei musicisti faccia un errore per vedere qualcosa di vero e improvvisato. Ma così facendo potremo avere una tournée dei Rolling Stones fra quarant’anni, con ovviamente ancora Charlie Watts alla batteria. E se in futuro la tecnologia permetterà di ricreare concerti live mai esistiti? Potremmo vedere dei falsi storici credibilissimi come i Beatles che fanno live Sergent Pepper? O che duettano con Elvis?
Non so a voi, ma a me fa paura. Speriamo sia solo un ipotesi, ma temo proprio di no.
Foto di copertina di Ralph_PH