Lucia Mascino, strepitosa, porta in scena con la regia suggestiva e sensibile di Serena Sinigaglia, un saggio in forma di confessione, spietata e sfidante, sul corpo delle donne e i modi in cui il mondo li legge e li fa agire
L’eliminazione di ogni filtro, o la loro decostruzione? Cosa ci aspettiamo, davanti a una psicoterapeuta, a cui abbiamo affidato il compito di renderci “Felici, risolti, o quantomeno funzionanti?” Come agisce su di noi la scoperta che chi dovrebbe offrirci le risposte all’esistenza non fa che porsi domande? Il punto di osservazione a cui forza, fin da subito, “Il sen(n)o“, in scena al Teatro Menotti fino a domenica 21, è prima di tutto questo: la più radicale delle messe in discussione, cui una straordinaria Lucia Mascino mette a valore la sua istintiva capacità analitica ed empatica, che si legge con facilità nelle scelte della sua carriera. Anche questa volta incarna la resa (controllata) ad un pensiero senza infingimenti che cerca il senso del mondo, delle società e dei corpi, lasciandosi andare all’intimità di una confessione, da cui ciascuna delle persone presenti non può non sentirsi chiamata individualmente in causa, come in una seduta terapeutica, anche in mezzo a un teatro pieno. Stretta tra responsabilità e autentica devozione a una funzione che ha paura di non riconosce più, e che prende forma in una messe di articolazioni del concetto di dovere, Tessa – psicoterapeuta quarantenne – mette a nudo se stessa, come individuo, come prodotto di una società, come donna, come corpo situato. Per restituire un senso alla storia di Karen e di sua figlia Lila, (che, dice, non si chiamano così ma cui solo il suo esercizio di empatia consente la privacy che la società famelica ha negato. Karen e Lila sono una madre e una figlia, cui la prima ha accettato di concedere, in giovanissima età, un intervento di mastoplastica additiva, Tessa sa che, per comprendere il senso delle esistenze, inclusa la propria, occorre metterne a nudo i meccanismi di funzionamento, quantomeno discuterli. O forse lascia semplicemente che accada, così come Karen lascia che il suo gusto, specchio esatto di quello della società, agisca sulla sua percezione. Anche per Tessa è un flusso emotivo a guidarla, un flusso razionale inibirebbe un processo dentro al quale, in realtà, quello che la psicoterapeuta cerca sono le parole per dire un sentimento. È con queste premesse che può avvenire in scena quello che forse accadeva negli esiti più felici delle autocoscienze che, non a caso, proprio le donne hanno eletto a metodo per spiegarsi se stesse. A partire da sé, Tessa può interrogarsi sulla società, sulla spinta violenta alla sessualizzazione (e in generale, alla mercificazione, alla colonizzazione ideologica) del corpo femminile, e dar sfogo alla rabbia, alla frustrazione e al senso di impotenza cui forse solo l’espressione può dare un argine. La vicenda di una bimba inglese che esige dalla madre un seno come quello delle riviste è fantastica, ma non potrebbe essere più verosimile e contemporanea. Come reagire all’esigenza di una figlia che nel semplice essere espressa denuncia un sistema, mette a nudo le contraddizioni e le ipocrisie di chiunque è pronto al giudizio immediato e svela i segni dell’inconscio di ciascuno? Sono tutte domande capaci di muovere corde intime in chiunque si trovi ad avere a che fare con bambine cui, fin dai quattro anni, si propone di giocare a fare feste “eleganti” per superare l’ansia del debutto in società.
Ma, prima ancora, il sen(n)o – sapiente resa dell’originale B(r)easts, che anziché sul filo tra seno e pensiero preferisce mettere l’accento sul concetto collettivo di Bestie – è un testo sullo sguardo. Lo sguardo del mondo attraverso cui le donne sono educate a esistere, lo sguardo esterno di chi cerca di stringere la realtà in qualcosa di decodificabile, sia per comprenderlo o per biasimarlo, e lo sguardo – il più crudele – verso se stesse, a cui dare forma attraverso un testo senza indulgenza, senza semplificazioni, nemmeno per chi lo interpreta. Senza nessun escamotage scenico banalizzante, sul palco si dipanano i grandi interrogativi della psiche, della sociologia, finanche della filosofia mediati dal corpo delle donne. E assunti da quello di una sola, Lucia Mascino, che se ne fa carico con abbagliante sincerità, in quella che è forse prova più potente e probabilmente difficile di una carriera multiforme.
Ne emerge una prova d’attrice maiuscola, non solo per l’assenza di appigli che allentino un testo che l’autrice Monica Dolan vuole teso e densissimo, e di cui Monica Capuani s’è assunta il compito di dare una resa in Italiano che riuscisse ad essere evocativa. Infatti, la sfida non è solo di contenuti. Sono molti i temi che si intersecano e – in scena come nel quotidiano – passano attraverso il corpo delle donne, ma la sfida per l’interprete è, soprattutto di misura e di intensità. La scelta interpretativa e registica –l’esito dell’incontro artistico tra Mascino e Serena Sinigaglia è felice e ambizioso – emoziona senza mai cedere al patetismo o andare fuori tono, Lucia Mascino non è mai retorica e meno che credibile anche quando si tratta di tracciare le conseguenze più estreme di un’operazione in Brasile solo apparentemente inverosimile. Non c’è – mai – giudizio, né si concede allo spettatore di arrivare alla chiusura del sipario avendo stabilito il confine tra giusto e sbagliato, vittima e colpevole, e – anche quando crede di possederlo – lo riscrive e lo rovescia. È colpevole una bambina che sa cosa desidera e si ostina a desiderarlo in piena coscienza, è colpevole una madre alla cui psiche ha dato a sua volta forma la società, ma che ha cercato soltanto di dare a sua figlia qualcosa che le permettesse di non soffrire? O lo è, invece, lo sguardo che osserva, e giudicando ha fretta soltanto di allontanare da sé nuove domande? La Tessa di scena non ha risposte ma gesti di cura, come quelli riserva al grande albero spoglio che Maria Spazzi ha posto a ingombrare la scena, facendo una scelta di forte espressività simbolica che: un nuovo moltiplicatore di possibilità di senso. Le stesse che, di nuovo, riportano allo sguardo, al bisogno di vedere di chi cerca letture e di essere visti di chi le porta sul corpo: cosa accadrà quando il corpo della donna che Lila diventerà smetterà di essere altro dalla massa per diventare un corpo di donna fra gli altri, campo di battaglia tra la persona e la società, e forse di una sorte che – come a Tessa, proprio su quel campo verrà a chiedere il suo conto?
Foto: Serena Serrani